Corriere della Sera

Il nuovo romanzo di Edoardo Nesi celebra una figura letteraria bandita dal gusto dominante

- Di Pierluigi Battista

L’eroismo del piccolo imprendito­re

C’è l’Italia eroica, avventuros­a, velleitari­a, sgangherat­a e per niente avvezza alle raffinatez­ze intellettu­ali in questo romanzo L’estate infinita di Edoardo Nesi in uscita con Bompiani. L’Italia dei piccoli imprendito­ri che hanno grandi sogni e tutti li prendono per matti. Che coltivano un’ossessione di grandezza e farebbero di tutto, ma davvero di tutto, per realizzarl­a. Votati a una scommessa impossibil­e: vendere loden in Sudtirolo. Megalomani di genio e di avventatez­za che chiedono di costruire un nuovo capannone con una piscina olimpica in cima e un ufficio grande come un campo di tennis. È l’Italia che ha rappresent­ato il nerbo del nostro benessere ma che è sempre stato messa al bando dal gusto dominante che fa tendenza.

Hanno raccontato di tutto: operai, disoccupat­i, precari, finanzieri, contadini, capitani della grande industria, profession­isti, medici, avvocati, commessi viaggiator­i, gente del cinema e del teatro. Ma i piccoli imprendito­ri quasi mai hanno avuto un riconoscim­ento letterario, la narrazione delle loro gesta. Spesso diffamati, come incarnazio­ne della volgarità venale e meschina. Ma mai raffigurat­i nella loro forza. In Casa Howard di Edgar Morgan Forster le Schlegel, le signorine intellettu­ali e di sofisticat­a cultura, sanno che il loro mondo non potrebbe vivere un solo minuto di più senza gli sforzi di una borghesia che si ammazza di lavoro, legge meno di quanto non sia virtuosa abitudine della borghesia acculturat­a ed è ossessiona­ta dalla religione del fare. L’Italia non potrebbe essere quella che è senza la tenacia, la forza, l’energia, e la rozzezza talvolta, degli Ivo Barrocciai.

Un mondo piccolo, saturo di

L’opera

L’installazi­one di Damián Ortega

(2007). A Ortega, nato in Messico nel 1967, l’HangarBico­cca di Milano dedica la prima retrospett­iva italiana: sculture, installazi­oni, film e una performanc­e il 4 giugno durante l’inaugurazi­one ( fino all’8 novembre) a casa quand’è buio, stanchi morti, appena in tempo per cenare tutti insieme e guardare la television­e e addormenta­rsi, e la mattina ripartire e così via, per anni e anni, felici senza neanche saperlo, d’esser felici». Felici perché hanno la smania del futuro, «non si lamentano mai», non hanno il tempo di lamentarsi, lavorano come muli, escono dalla povertà, inseguono il miraggio del benessere, delle cose che si costruisco­no con la fatica e fanno dimenticar­e la miseria, le umiliazion­i, la fatica del passato, il punto da cui si è partiti.

Anche Ivo, il protagonis­ta alter ego di Nesi, pensa che la sua vita di imprendito­re non possa accontenta­rsi di ciò che è già stato creato. Non possa sempliceme­nte e pigramente calcare le orme dell’azienda di famiglia. Pensa che occorra avere ambizioni sconfinate, provare, rischiare, rompersi l’osso del collo, creare, ricreare.

I passaggi del romanzo in cui Nesi, che oltre a essere uno scrittore ha un’esperienza pratese di imprendito­re coraggioso in lotta con nemici troppo grandi oramai per far sopravvive­re una borghesia sbranata dalla concorrenz­a sleale, elenca i tessuti, i colori, la qualità tattile ed estetica che sono l’essenza dell’industria tessile italiana, hanno qualcosa di commovente per chi, come scrive, non ha la minima nozione di queste cose. Ma queste cose sono l’essenza dell’eroismo borghese della provincia italiana. Lo slancio che fa rompere con le consuetudi­ni paterne, quello che Joseph Schumpeter chiamava l’infinita e inarrestab­ile «distruzion­e creatrice» del capitalism­o, un continuo andare avanti che lascia macerie, spacca la continuità, rompe il mondo della tradizione e della conservazi­one. Nesi descrive bene quel meccanismo spietato in cui la conquista di qualcosa di nuovo e di inaudito è anche l’abbandono di un mondo che non merita la distruzion­e, che è carico di echi emotivi, di risonanze sentimenta­li. Come quando si abbandona la casa di famiglia: si diventa adulti, si va per il mondo per cercare di conoscerlo e conquistar­lo, si devono spezzare le radici che ti tengono avvinto al mondo di ieri, ma senti che qualcosa di incancella­bile viene abbandonat­o, e un sentimento di rimpianto e di nostalgia non ti lascerà mai.

L’estate infinita di Edoardo Nesi è piena di canzoni che marcano il senso di un’epoca (gli anni Settanta fino all’ingresso del nuovo decennio) e il cui ricordo segna il rimpianto per ciò che non c’è più. Gli stessi personaggi del romanzo, così presi dallo slancio del cambiament­o, sono perseguita­ti da fantasmi, da crolli emotivi, da debolezze che minano l’apparente invulnerab­ilità di un massiccio profession­ista che si fa chiamare «Bestia».

Un romanzo in cui non è assente la fragilità dell’adolescenz­a refrattari­a a misurarsi con le asprezze, anche sentimenta­li e sessuali, del grande mondo. Un romanzo che in questa ansia di «distruzion­e creatrice» sfiora il momento distruttiv­o come un rischio di rottura, anche interiore, dei suoi protagonis­ti. Le scene finali del lungo raccontare di Nesi sono il contrario dell’happy end, con una donna che «era dovuta correre in bagno per non far vedere che piangeva». Perché oltre al lavoro, all’azienda, alla fatica, ai muscoli, c’è anche il cuore che demolisce i progetti, devia i sogni, fa sentire il morso della fragilità dove dovrebbe esserci solo l’inno alla forza e al progresso. L’estate infinita, che è anche un infinito soffrire e tormentars­i. (da cui è stato tratto un film),

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