L’asino, il ragazzo e il libro nel regno dei centrini e degli zoccoli
Provate a immaginare un Paese dove se vai in pensione nessuno ti farà sentire inutile o se fai qualcosa nessuno ti chiederà di rispondere alle solite domande (a cosa serve? cosa ci guadagni?). Da oggi ne esiste uno. Si chiama Variponti ed è popolato esclusivamente da oggetti scartati (macinini da caffè, mangianastri, vecchie radio, occhiali senza stanghetta, macchine da scrivere Olivetti, zoccoli di legno marcito…) e da esseri bizzarri che coltivano piaceri inutili (scollare francobolli, scalare montagne, distribuire baci, camminare sulla fune, guardare la luna, tagliare meloni, trapiantare primule).
Lo ha descritto, con grande abilità, Paola Mastrocola nel suo nuovo romanzo intitolato L’esercito delle cose inutili (Einaudi). In un universo sempre più ossessionato dall’utilitarismo e dal profitto, l’autrice ci accompagna per mano in un affascinante viaggio nel fantastico regno dell’inutile.
La trama ruota attorno alle vicende di tre personaggi principali: l’asino Raimond (sfuggito al macello), il ragazzino Guglielmo (che lo adotta «a distanza») e il libro Res (sfuggito al macero). Spetta al vecchio Raimond — epigono, nella sua semplicità, di un’antica tradizione (da Apuleio fino a Au hasard Balthazar di Bresson) in cui la realtà viene osservata attraverso gli occhi di un asino — narrare la storia. Gli avvenimenti significativi della sua vita in un’isola greca (l’infanzia, l’amore, il duro lavoro, le bastonate, la vecchiaia, l’incubo del macello) preparano la nuova condizione di asino «errante», sfuggito alla morte ma triste per la sua inutilità.
Dopo un lungo vagabondare, Raimond incontra il libro Res e a cena gli racconta la notte in cui lo hanno preso per portarlo via: «Tanto a un certo punto arriva il camion blu, ti prendono e ti portano via. Finché sei utile, servi; finché servi, vai bene. Poi ciao». E il libro si commuove al punto da proporgli di seguirlo in un Paese dove la disprezzata inutilità si trasforma in una felice maniera di vivere.
A Variponti, «Paese delle cose inutili», non solo abita Res («i libri, d’accordo, mi torna, lo sanno tutti che sono inutili, e quindi è giusto che vivano lì») ma vi risiede anche «un’accozzaglia di persone e cose che non avete idea»: «Acrobati, stiracravatte, cavalli persi, poeti che declamano poesie, centrini di pizzo all’uncinetto, pittori e cavalletti, pecore belanti, violinisti, cinghialesse a spasso con i piccoli, aquile di gesso, pastelli a cera, lavagne in ardesia, fiori finti, vecchie spille d’oro, insegnanti in pensione…». E tanta altra gente «che fa la stessa cosa inutile, sempre quella».
Qui Raimond impara a guardare («prima non guardavi un accidenti»), a non chiedere il «perché» (perché se «uno è inutile è inutile, non serve a niente e a nessuno»), a vedere che si possono fare cose solo per il piacere di farle. Ma impara soprattutto — leggendo le lettere in cui il ragazzino Guglielmo gli racconta la sua vita — che non bisogna avere paura di soccorrere gli altri. E così alla testa dell’esercito delle cose inutili si lancia in difesa del suo sconosciuto padroncino: l’assalto alla scuola, come per miracolo, si trasforma in un grande carnevale dove, finalmente, Guglielmo, grazie a Raimond, conquista tutti i ragazzini, isolando i violenti.
Mastrocola racconta una favola — con felici digressioni e pagine pirotecniche — dove il piacere e i sentimenti assumono un ruolo centrale. La fantasia, insomma, aiuta a vivere. E se «uno finge», come ricorda Raimond, può anche succedere che poi «quel che finge» finisce per accadere.