Contador triste y vincente
Ciclismo Il trionfatore del Giro, chiuso e senza amici, mette a punto il suo piano: dare l’assalto a Tour e Vuelta. Un triplete da lasciare ai posteri
MILANO All’ora dell’happy hour, nella fibrillazione della Milano da bere, il pistolero triste cui nemmeno la penna di Cervantes sarebbe riuscita a regalare un po’ di ironia esce di scena. Imposta la sua legge a Fabio Aru — secondo Giro intascato senza vincere una tappa: quello impreziosito dall’unico successo (2011), sull’Etna, gli è stato revocato per una controversa positività —, Alberto Contador Velasco ha deciso di farsi un regalo. «Una pizza». Più qualche giorno in Spagna, a Pinto (Madrid), dove i genitori emigrarono dall’Ex-tremadura quattro anni prima della sua nascita (6/12/82, sagittario), per trarre linfa dalle radici: Macarena Pescador, la moglie conosciuta da bambino, non ama il buen retiro di Lugano. Fine dei lussi. «Da sabato mi rimetto a lavorare. Giro e Tour sono una corsa unica nella mia testa: solo così posso pensare di fare la doppietta».
Il piano, lucido e folle, sta maturando in corso d’opera. Sbancato il Giro (il secondo per gli annali, il terzo nel suo personalissimo palmares), Contador farà un ritiro monastico in altura, a St. Moritz; poi roderà gambe e cuore nella Route du Sud (18-21 giugno), subito prima di scagliarsi lancia in resta contro Nibali, Quintana e Froome in Francia. «Sono stanco, ho bisogno di riposo. Se al Tour sarò vulnerabile? Vedremo… Quello che conta è la classifica finale». Se alla Grande Boucle gli riuscisse il colpaccio (zero tituli dal 2009), il campione moderno dalla mentalità antica potrebbe buttarsi sulla Vuelta. E chiudere in bellezza. L’ha sempre detto: «Voglio ritirarmi quando sono al top». Un triplete per i posteri. E poi l’oblio.
Privo di malizie, molto poco diplomatico, Alberto nel plotone ha pochi amici. Tutti gli riconoscono il dovuto rispetto, nessuno ha accesso al suo campo minato. Il fratello Fran, che gli fa da manager. L’addetto stampa Jacinto. Il meccanico Faustino, che maneggia le bici del pistolero come fossero creature appena venute al mondo, e destinate a un futuro radioso. Lo spagnolo ostinatamente parlato come forma di autodifesa. «Alberto è cambiato dopo la sospensione per doping — conferma l’ex gregario Paolo Tiralongo —. Si è chiuso, indurito. Ha il terrore di non essere capito». Dietro il muro, in effetti, regnano le ombre. Segnato dall’operazione alla testa del 2004 (la cicatrice gli attraversa il cranio da orecchio a orecchio), legatissimo al fratellino non autosufficiente, Raul, Contador avrebbe forse avuto bisogno di un manager-papà cui appoggiarsi. Quello che Echavarri fu per Indurain. E invece in 13 anni ha cambiato sei squadre, trovando rifugio alla Tinkoff dello zar Oleg (ieri con i capelli tinti di rosa), cui ha regalato la prima grande soddisfazione. Un Giro bellissimo, corso da contabile. È stato onesto da subito: «Vincere una tappa non è la mia priorità». Poi si è fatto i comodi suoi, gestendo il vantaggio (e saltando quattro conferenze stampa). Ha discusso a muso duro con Cipollini, che l’aveva invitato a smetterla di cambiare bici prima delle salite. Il fantasma del motorino (e gli ispettori Uci, a Verbania, con il loro controllo all’acqua di rose hanno fatto ben poco per allontanarlo) è stato il terzo incomodo tra Contador e Aru all’Abetone e sul Mortirolo. «Ho forato! — ha ripetuto ieri —. Se avessi avuto il motore l’avrei usato ai piedi del Mortirolo, non sulla discesa dell’Aprica…».
Faccia da poker, banale per sfinirti, irresistibile quando la strada sale e lui si alza sui pedali, en danseuse, con lo stile unico di Nadal in campo, Marquez in moto, Alonso al volante, Manolete nell’arena. Sette grandi giri (nove, direbbe lui) non si vincono per caso. Ha battuto Armstrong quando il texano era un re, e non il reietto di un ambiente che si lamenta dei sospetti e poi mal tollera le domande. «È stato un Giro emozionante» dice sui titoli di coda della sua ultima avventura italiana. Chissà cosa gli è passato per la testa sul Colle delle Finestre, in piena crisi, solo come ogni eroe al crepuscolo e, finalmente, umano.
Il premio Una pizza il regalo per la vittoria. «Ora sono stanco, ma da sabato torno al lavoro»