L’edizione più dura bella e incerta Numeri importanti Aru giovane da record
MILANO Tesi numero 1: il Giro 2015 è stato (oltre che spettacolare e ricco di colpi di scena) il più duro degli ultimi trent’anni. Lo sostiene il vecchio Bruno Reverberi, l’unico ad averli vissuti tutti in ammiraglia. Tesi numero 2: sì, Reverberi ha ragione. Ma la durezza della corsa è stata acuita da un livello dei partecipanti (qualità, preparazione e motivazione) non eccelso. I «numeri» del Giro appena concluso sono importanti. Il vincitore, Alberto Contador, si è bevuto i 3.501 chilometri del tracciato alla media record di 39,601, quasi due chilometri/ora più veloce del trionfale 2008. Paragonare le medie tra loro non è correttissimo (il meteo cambia molto le carte in tavola), ma dietro Contador solo 18 atleti (altro record) hanno contenuto il ritardo entro l’ora e soltanto 32 sono rimasti sotto le due ore. In compenso (altro primato) undici partecipanti hanno accumulato oltre sei ore di ritardo: sono (virtualmente) arrivati a Milano un tappone dolomitico dopo lo spagnolo. Fortissimo, in assoluto e tra i pari età, anche Fabio Aru. Ma la concorrenza tra gli under 25 è parsa modesta: il secondo e il terzo classificato (Formolo e Felline) hanno sfiorato le due ore di ritardo. La durezza del Giro però è fuori discussione. La differenza quest’anno l’ha fatta la prima settimana di corsa. Da Sanremo a Campitello Matese il dislivello altimetrico rilevato dai computer dei corridori è stato il 30% superiore rispetto a quello delle tabelle di marcia. Queste tengono conto solo dei gran premi della montagna, ma lungo i tracciati erano disseminate tante salitine che hanno appesantito la fatica, oltre a rendere la corsa ogni giorno bella e incerta. Non è un caso che Aru abbia confessato di aver vissuto i suoi giorni più difficili non sul Mortirolo ma nelle tappe di Imola e Vicenza, dove le salite erano quelle più innocue dei Tre Monti e dei Berici, ma affrontate a velocità supersonica. La classifica «lunghissima» ha però spiegazioni che vanno oltre la forza di Contador, Aru e Landa. Alla partenza parecchie squadre straniere (anche importanti) si sono presentate con atleti che non sempre sono stati in grado di reggere il ritmo della corsa rosa e dei suoi campioni. Non è un caso che negli ultimi cinquanta posti della classifica ci siano più atleti di multinazionali del pedale che delle piccole squadre italiane. Per le nostre Bardiani, Nippo, Androni e Southest (invito) il Giro è ossigeno. Onorarlo dando il massimo, spiega Gianni Savio, il «principe» delle ammiraglie italiane, è anche un obbligo morale.