Le divisioni sulle unioni gay
Il costituzionalista Michele Ainis ( Corriere della Sera) , 29 maggio) ha scritto un bell’articolo sulla divisione della sfera religiosa da quella statuale negli ordinamenti moderni per dimostrare, in maniera convincente, l’opportunità di legalizzare anche da noi le unioni omosessuali, mettendoci alla pari con tutti gli Stati dell’Europa occidentale. Ma nella foga dell’argomentare giunge a una forzatura della Costituzione che non mi sento di condividere. Secondo lui i costituenti agirono con lungimiranza perché definirono la famiglia una «società naturale». Questo aprirebbe uno spiraglio costituzionale alla novità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso perché ciò che è innaturale oggi può diventare naturale domani a causa dell’evoluzione dei costumi ecc, ecc. Io credo invece che nessuno dei costituenti potesse neanche lontanamente immaginare che di lì a settant'anni si sarebbe approdati a tale tipo di nozze. Ma ve l’immaginate? Erano tempi in cui gli omosessuali erano perseguitati, in molti Stati civili anche penalmente. Ancora alla fine degli anni Sessanta un’inchiesta sull’omosessualità di un famoso giornalista fece scalpore e l’autore fu tacciato dai colleghi di omosessualità.
La costituente era dominata da due blocchi: quello cattolico e quello marxista e su certe materie i comunisti erano ancora più bacchettoni e intransigenti dei democristiani, essendo questi ultimi un po’ «gesuiti» e inclini al perdono. Ne deriva che i costituenti, con quella definizione di famiglia, intendevano l’opposto di ciò che afferma Michele Ainis: una società formata da un uomo e una donna e dalla loro prole, come avviene in natura.
Mi chiedo quindi se l’introduzione del matrimonio gay non presupporrebbe addirittura una modifica costituzionale di questa definizione. Lasciando da parte le forzature che non fanno mai bene.
Fabrizio Perrone Capano
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