L’annuncio al mare e la caduta Il senso di colpa di un Paese
Il primo fotogramma è una cartolina di primavera, il mare azzurro, il cielo terso, le case color pastello di Kastellorizo, un isolotto a pochi chilometri dalle coste turche che nell’ultimo censimento contava 200 abitanti. L’uomo che guarda in macchina stringe un foglio di carta. È il 23 aprile 2010, il premier greco George Papandreou annuncia che il deficit di bilancio è fuori controllo, le previsioni erano sbagliate, il Paese va incontro a una crisi senza precedenti. Quando svolta, la Storia non fa rumore.
Papandreou guida il Pasok, il partito socialista che nella Grecia sopravvissuta a guerre civili e dittature si spartisce da decenni il potere con i conservatori di Nuova democrazia. Sei mesi prima la squadra di governo ha rivisto al rialzo la stima del deficit, portandola dal 6,7 al 12,7% del Prodotto interno lordo (e le agenzie hanno tagliato il rating di Atene). I calcoli Eurostat sono ancora più pessimisti. Qualche manovra di correzione è stata tentata, dice Papandreou, ma non sappiamo più cosa fare e l’unica strada è chiedere aiuto all’Europa e al Fondo monetario. Comincia un esame di coscienza collettivo su un sistema radicato di commistioni tra pubblico e privato, tangenti e bilanci gonfiati. I greci realizzano di aver vissuto per anni al di sopra delle proprie possibilità, complici di una classe dirigente più impegnata a distribuire favori che a consolidare un’economia fragilissima, priva di basi industriali, spinta dal turismo e dal terziario. Un’ubriacatura simboleggiata dalle Olimpiadi di Atene 2004, le più costose di sempre (9 miliardi di euro), ospitate dal governo di centro-destra di Kostas Karamanlis accusato di aver falsificato a lungo i conti pubblici per rientrare nei criteri di Maastricht. Senza destare allarmi in Europa.
Primi tagli a spesa pubblica, salari e posti di lavoro. Primi disordini. A maggio il terzo sciopero generale saluta l’avvento del programma di salvataggio da 110 miliardi di euro in tre anni. Sulla scena irrompe la «troika» dei creditori: Commissione Ue, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale. Ispezioni nei ministeri, direttive da Bruxelles, regolamenti da Washington. Il dramma della fine delle dinastie politiche si consuma in un Parlamento barricato che approva piani d’austerità mentre i greci scendono in piazza. Nel luglio 2011 il secondo piano di salvataggio prevede aiuti per 109 miliardi di euro e il taglio del 20% del debito. Papandreou aspetta l’autunno e spiazza l’Europa annunciando un referendum popolare sulla ristrutturazione del debito che rischia di far saltare il banco. Le pressioni esterne sono fortissime. Telefonate fiume con Nicolas Sarkozy a Parigi e Angela Merkel a Berlino. Infine il referendum viene annullato, il governo cade e l’ex vice presidente della Bce Lucas Papademos prende il timone di una coalizione tra Pasok, Nuova democrazia e l’estrema destra di Laos. Avanti con le privatizzazioni e l’apertura del mercato energetico agli investimenti stranieri; ancora giù i salari minimi e la spesa per welfare, difesa e sanità. Si calcola che dall’inizio della crisi ogni giorno 700-1.000 greci abbiano perso il lavoro, con sussidi di disoccupazione garantiti per un solo anno e la morsa dei mutui in rosso che tolgono la casa. Fuori dai palazzi del potere, nelle strade dove la povertà è ormai presenza visibile e familiare, volontari in nero distribuiscono cibo e slogan contro l’Europa e gli immigrati. Nel 2012 il partito neonazista Alba dorata entra in Parlamento. Si vota due volte. A maggio niente maggioranza, a giugno Antonis Samaras (Nuova democrazia) si allea con il Pasok e diventa premier. Cresce, lentamente, l’astro di Syriza.
In cinque anni la disoccupazione ha raggiunto il 28%, quella giovanile il 60; il reddito medio è diminuito del 40%. Il debito pubblico è passato dal 124 al 180% del Pil. Su quasi 11 milioni di abitanti, 2,5 vivono sotto la soglia di povertà e altri 3,8 sono a rischio. Il 25 gennaio 2015 Alexis Tsipras ha portato Syriza al governo con il 36,3% dei voti e una certezza: in Grecia l’austerità ha fallito.
In cinque anni la disoccupazione ha raggiunto livelli record e il debito pubblico è aumentato. Nel 2015 la sinistra radicale di Tsipras ha vinto le elezioni promettendo di invertire la rotta