Angela ha imparato 2 lezioni: perché ora farà la sua parte
L’educazione sentimentale di Angela Merkel nei confronti della Grecia, mito della grande cultura tedesca, ha avuto due momenti portentosi in questi cinque anni di crisi ellenica. La cancelliera-scienziata ha un’enorme capacità di apprendere e il risultato di quei due passaggi lo si vede in queste ore: rompendo il protocollo che avrebbe voluto le trattative tra Atene e i creditori esclusivo campo dei tecnici e dei ministri finanziari, lunedì ha preso in mano la situazione e ha convocato Christine Lagarde e Mario Draghi a una riunione a Berlino insieme a lei, a François Hollande e a Jean-Claude Juncker per dare una dimensione politica decisiva al negoziato. Ha imparato a sue spese che il caso greco definirà il ruolo della leadership sua e della Germania.
Il 18 ottobre 2010, sei mesi dopo lo scoppio della crisi finanziaria greca, Frau Merkel e l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy camminavano sul lungomare umido di Deauville. Coscienti del fatto che la situazione dell’euro avesse bisogno di interventi decisi, delinearono un piano che riformava il modo di governare l’Eurozona. Tra le altre cose, fecero sapere che i creditori privati avrebbero dovuto sopportare perdite nel caso che un governo dell’Eurozona fosse risultato insolvente. In via di principio, indiscutibile. Era però la prima volta che l’ipotesi di insolvenza di un Paese della moneta unica veniva evocata al massimo livello politico. Le due possibilità — default di uno Stato dell’euro e creditori privati penalizzati — misero sottosopra i mercati.
Mentre passeggiava con Sarkozy lungo la spiaggia della Normandia amata da Coco Chanel, nel retropensiero di Frau Merkel non c’era la percezione delle conseguenze che avrebbero avuto un’insolvenza e un’eventuale uscita di Atene dall’Eurozona. L’anno e mezzo che seguì, con i mercati in totale turbolenza, fu un periodo di apprendimento veloce sui pericoli della Grexit.
Le stazioni balneari francesi, o forse Sarkozy, sono cruciali per la leader tedesca. Un anno dopo, all’inizio del novembre 2011, la seconda lezione sull’insidia ellenica. Località, Cannes, Costa Azzurra. Occasione, il vertice del G20, quello famoso che diede inizio alla caduta dell’ultimo governo Berlusconi. Il 31 ottobre, il primo ministro greco George Papandreou aveva annunciato un referendum per chiedere ai cittadini se accettassero un secondo piano di salvataggio che avrebbe comportato sacrifici e un taglio forzato del debito greco detenuto dai privati di oltre il 50%. Anche questo passaggio creò caos nei mercati: si trattava di fatto della richiesta ai greci di scegliere se restare nella moneta unica oppure uscirne, con esiti incerti.
Convocato d’urgenza Papandreou a Cannes, Merkel e Sarkozy gli dissero che l’idea era un azzardo improponibile. Che avrebbe messo a rischio non solo la permanenza di Atene nell’euro ma sarebbe stato un contagio definitivo anche per Paesi come l’Italia e la Spagna in quel momento in piena crisi di fiducia. Il 3 novembre, Papandreou rinunciò al referendum e nel giro di pochi giorni si dimise. È in quel momento che Angela Merkel introduce in via definitiva nel suo sistema cartesiano la regola per la quale la Grecia non va lasciata andare: troppo pericoloso per l’euro.
È cambiato qualcosa, oggi, rispetto a quell’idea diventata normativa nel pensiero della cancelliera? Forse. La situazione della primavera 2015 è diversa da quella degli autunni 2010 e 2011. Un po’ tutti dicono che l’euro non rischierebbe in caso di Grexit. Frau Merkel sembra però non volere rischiare. Non solo per quello che ha imparato nelle migliori stazioni balneari francesi. Soprattutto perché se la Grecia abbandonasse l’euro le accuse alla Germania, ritenuta da molti troppo rigida, sarebbero violente. La leadership di Berlino e sua personale ne risentirebbero enormemente, al di là di chi fosse responsabile dell’uscita. Non è detto che ce la faccia: la cancelliera-scienziata ha però imparato che deve provare.
Oggi la priorità della cancelliera tedesca è difendere la stabilità dell’euro, oltre che la leadership della Germania (che risentirebbe enormemente di un’uscita della Grecia)