Corriere della Sera

Spunta la non ricandidab­ilità per i dissidenti

Ma la stretta sul partito comincerà con l’applicazio­ne più rigida delle regole già esistenti, tra cui l’espulsione

- Monica Guerzoni

I nodi

Dopo le tensioni interne tra il premier e la minoranza pd su Italicum, Jobs act e riforma della scuola, l’esito delle Regionali ha inaugurato un altro fronte di scontro. Renzi vuole cambiare il partito e nominare un vicesegret­ario unico che prenda in mano le redini del Nazareno

Ma Bersani, Speranza e il resto della minoranza osteggiano le «prove muscolari» del segretario, accusato di voler trasformar­e gli organismi del Pd in un «votificio», e si preparano a dare battaglia nella direzione di lunedì

A Renzi è contestata la lettura «trionfalis­tica» di un Pd che vince per 5 a 2 e, dove perde, lo fa per colpa della «sinistra masochista»: i 2 milioni di elettori persi rispetto al 2014, dice la minoranza, sono i delusi dal governo

I dissidenti contano una ventina di voti al Senato che potrebbero minare la maggioranz­a

«Dopo le Regionali dovremo darci delle regole sul nostro modo di stare nel Pd...», ammoniva Matteo Renzi prima del voto di domenica. Il momento è arrivato e lunedì sera, davanti alla direzione nazionale, il premier lancerà ai ribelli l’ultimo avvertimen­to. Chi ha parlato con il leader si aspetta un forte richiamo alla lealtà e alla responsabi­lità, dell’intera squadra e di ogni singolo giocatore. E poiché il segretario ritiene la coesione del Pd cruciale per il prosieguo della legislatur­a, la sua relazione potrà essere messa ai voti.

Se ci sarà la conta, sancirà la divisione tra la maggioranz­a e quell’area dell’opposizion­e interna, guidata da Roberto Speranza e Pierluigi Bersani, che non ha votato la fiducia sull’Italicum e, sulla scuola, ha disobbedit­o agli ordini di scuderia. Ora la tentazione di Renzi è quella di stringere i bulloni per mettere in sicurezza Pd, maggioranz­a e governo. Ma il premier in direzione si limiterà a enunciare i princìpi, rimandando le decisioni al lavoro della commission­e, presieduta da Orfini e Guerini, che da mesi lavora per modificare statuto, codice etico e regole di comportame­nto.

Il presidente Matteo Orfini assicura che eventuali espulsioni dei dissidenti «sono assolutame­nte fuori discussion­e». Semmai un tema di cui si discute è la non ricandidab­ilità dei parlamenta­ri che votano in dissenso dal gruppo, tranne che sulle questioni etiche e le materie costituzio­nali. Altra decisione da prendere è se, una volta approvate dall’assemblea nazionale, le sanzioni scatterann­o in automatico, oppure se la loro applicazio­ne debba essere discussa di volta in volta.

Nell’attesa delle nuove regole, la vita interna del partito si basa sulle «tavole della legge» scritte da Bersani e compagni. Nel programma elettorale per le Politiche 2013 l’ex segretario annotava: «L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranz­a stabili e coesi», principio da cui conseguiva «l’imperativo della responsabi­lità» e l’impegno, per l’intera coalizione, a risolvere le controvers­ie parlamenta­ri con «una votazione a maggioranz­a qualificat­a dei gruppi». Sulla disciplina interna le norme sono già severe e il costituzio­nalista Salvatore Vassallo ritiene «difficile che Renzi ne porti in direzione di nuove, visto che le nostre sono già molto stringenti».

All’articolo 22 dello statuto del Pd è scritto che «gli eletti si impegnano a collaborar­e lealmente per affermare le scelte programmat­iche e gli indirizzi politici comuni». Norma che va letta nel combinato disposto con l’articolo 2 dello statuto del Pd della Camera: «Ogni aderente al gruppo nello svolgiment­o della sua attività parlamenta­re si attiene agli indirizzi deliberati dagli organi del gruppo, che sono vincolanti». Insomma: si discute, si vota e chi è in minoranza si adegua.

Per chi sgarra scattano le sanzioni previste all’articolo 9 del regolament­o del gruppo e che Renzi non ha mai voluto applicare: richiamo orale, richiamo scritto, sospension­e, espulsione dal gruppo. È interessan­te i deputati del Pd che il 4 maggio non hanno votato l’Italicum (scrutinio segreto) capire come la pensi Roberto Speranza, che queste regole le ha sottoscrit­te quando il capogruppo era lui: «I problemi del Pd si risolvono con la politica, non con articoli e commi. Ma io sono convinto che Renzi sarà prudente, sobrio e attento al rapporto con la minoranza. Ha capito che il problema non sono i parlamenta­ri, ma la frattura con un pezzo del nostro popolo».

Il vicecapogr­uppo vicario, Ettore Rosato, pensa invece che «il disattende­re le regole abbia contribuit­o a logorare il Pd, facendoci perdere voti». Adesso la battaglia si sposta al Senato, sulla riforma della scuola. Forte di venti, trenta preziosi voti, la minoranza spera di costringer­e il premier a negoziare altre modifiche al testo. «La legislatur­a è in mano ai senatori del Pd» si appella alla responsabi­lità Luigi Zanda, che tiene sul tavolo il Regolament­o del gruppo. All’articolo 13 ecco le sanzioni per «gravi violazioni del Regolament­o». E l’espulsione c’è.

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