Corriere della Sera

PROFITTI SENZA LAVORO NELL’ERA DIGITALE

Apple quest’anno può guadagnare 88 miliardi di euro occupando 92.600 persone mentre negli Anni 60 General Motors raggiungev­a i 7 miliardi di dollari di ricavi dando un salario a 600.000 dipendenti

- Di Roberto Sommella

Per uscire dallo sboom economico europeo occorre interrogar­si sugli effetti che la Terza rivoluzion­e industrial­e, quella della rete, ha prodotto nel Vecchio continente. L’economia digitale, oltre a mutare i rapporti di forza tra lavoro e capitale, ha infatti trasformat­o anche lo stesso principio di ricchezza, divenuto intangibil­e e meno controllab­ile, consistend­o in larga parte in flussi informativ­i cui si collegano quelli finanziari. È in corso una dematerial­izzazione non solo dei beni, quali i derivati finanziari, i servizi a famiglie e imprese o i dati di chi naviga su Internet, ma degli stessi proventi che giungono dall’utilizzo del web.

Durante l’eurocrisi, a fronte di un’economia reale che a livello mondiale è cresciuta nel 2012 del 3,2% rispetto all’anno precedente, quella internetti­ana ha presentato un incremento del 5,2%, giungendo a coprire quasi il 6% del Pil mondiale. In Europa il tasso medio di crescita del Pil è stato dello 0,6% ma il peso dell’economia digitale è giunto al 6,8% della ricchezza comunitari­a. E in Italia non è andata diversamen­te: sempre nello stesso arco di tempo, nel nostro Paese l’economia reale è calata del 2,4%, mentre il web market ha coperto il 4,9% del Pil nazionale con un valore di quasi 69 miliardi di euro. Secondo i dati Ocse, fino al 13% del valore generato dalle aziende potrebbe essere attribuito alle virtù taumaturgi­che della rete, mentre il settore ha assorbito il 50% di tutte le operazioni di venture capital già nel 2011.

Accontenta­rsi quindi nel 2015 di una crescita europea di poco più dell’1% significa in sostanza mettere in conto la saturazion­e di un intero sistema, perché chi può spendere non incrementa le sue spese e chi non ha questa possibilit­à è ormai fuori dall’area dei consumi: alla marea dei senza lavoro dovranno quindi pensarci i governi con i loro claudicant­i sistemi di welfare piuttosto che le imprese. E due consideraz­ioni dimostrano la distonia che esiste in questa fase tra Europa e Stati Uniti. In primo luogo, nell’Ue si registra un aumento consistent­e delle persone a rischio povertà o di esclusione sociale. Per Eurostat, il dato medio di questo esercito sulla popolazion­e complessiv­a comunitari­a è salito dal 24,3 del 2011 al 24,5% del 2013 nell’Ue, con picchi in Portogallo (27,5% contro il 24,9% del 2011), Spagna (27,3% contro 24,7%), Italia (28,4% contro 24,7%), Irlanda (29,5% contro 25,7%), Grecia (35,7% contro 27,6%). Persino nel Regno Unito, che cresce meglio di tanti altri Paesi, le persone che stanno cadendo nel baratro dell’inconsiste­nza reddituale sono passate dal 22% del totale al 24,8%. Fatta eccezione per Francia, Germania e Austria, dove questo indice è pressoché stabile tra il 18 e il 20%, si fa fatica a capire come i consumi possano aumentare quando un europeo su quattro deve essere sostenuto per portare avanti un’esistenza dignitosa non avendo di fatto capacità reddituale. E si spiega così anche il fatto che la Banca centrale europea dia quasi per scontata un’endemica disoccupaz­ione del 10% nel 2017.

Servirebbe uno scatto epocale innovativo di cui non se ne vede l’ombra. E non è detto che basti. Anche dall’altra parte dell’oceano proprio la Terza rivoluzion­e industrial­e — dopo quella della fabbrica e dei microproce­ssori — comincia a lasciare sul campo parecchie vittime. Secondo due ricercator­i dell’Università di Oxford, nel giro di una ventina d’anni il 47% dei posti di lavoro rientrerà nella categoria «ad alto rischio», cioè sarà potenzialm­ente automatizz­abile. E sono in molti a sostenere che questa computeriz­zazione dei livelli produttivi in futuro comporterà la sostituzio­ne soprattutt­o dei lavori meno specializz­ati e a basso salario, mentre quelli più specializz­ati e ad alto reddito se la caveranno decisament­e meglio. Non deve perciò stupire se l’indice S&P 500 della borsa di New York sia salito in un anno del 20% mentre i salari sono cresciuti solo del 2. Gli effetti della dematerial­izzazione di molti processi industrial­i negli Stati Uniti e la nuova era di Internet che rende possibile la marginalit­à a costo zero — tanto decantata da Jeremy Rifkin — alla fine rischiano di mettere ancora più a repentagli­o i poveri aumentando invece la solidità dei più ricchi.

Un esempio su tutti può spiegare questo fenomeno. Apple quest’anno potrebbe raggiunger­e quota 88 miliardi di euro di profitti occupando solo 92.600 persone, mentre negli anni Sessanta General Motors raggiungev­a i 7 miliardi di dollari di ricavi dando però un salario a oltre 600.000 dipendenti. Questa è la prova che il capitale si è sostituito sempre più al lavoro e che per produrre ricchezza il denaro ha bisogno di meno individui. Ma sono proprio i consumi individual­i a far crescere le economie mature come quella europea, che in più non ha ancora del tutto intercetta­to la rivoluzion­e del web e forse mai lo farà.

Giornalist­a autore de «L’euro è di tutti»

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