SE LA CURA ANTICANCRO DIVENTA TROPPO COSTOSA
Niente «olaparib» per le donne con tumore all’ovaio. Non è la prima volta che l’Nhi, il sistema sanitario inglese (meglio, la sua emanazione che si occupa dei costi sanitari, il Nice) nega il rimborso a un nuovo antitumorale perché ritiene il prezzo troppo elevato rispetto ai benefici per i malati. Adesso è toccato all’olaparib (costa 5.700 euro al mese circa), qualche tempo fa a una molecola contro il cancro al seno.
La notizia arriva in un momento di grande eccitazione per la ricerca medica. Al congresso degli oncologi americani (Asco), appena conclusosi a Chicago, si è aperto un nuovo fronte nella guerra contro il cancro: quello dell’immunoterapia, che stimola le difese dell’organismo contro le cellule tumorali. Un’innovazione molto costosa.
L’industria farmaceutica si chiede: perché i governi, pronti ad applaudire le aziende innovatrici, poi non le ricompensano rimborsando i farmaci? E perché i pazienti, che possono avere anche piccoli benefici dai nuovi trattamenti, devono essere lasciati senza, in attesa che arrivi qualcosa di più efficace di cui probabilmente non potranno più usufruire?
Si sa che l’arrivo di ogni nuova molecola può rappresentare un pezzettino in più di vita per i malati e che, oggi, si può anche pensare alla guarigione (sta accadendo con gli immunoterapici per il melanoma). I temi, allora, sono due: l’innovazione per l’industria e la cura dei pazienti per i medici.
Forse non è giusto che sia il rimborso dei nuovi farmaci a ripagare l’innovazione (servono politiche industriali diverse), ma è doveroso assicurare ai pazienti il miglior trattamento possibile.
Come, se le risorse (anche da noi) sono poche? L’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) fa una proposta: costituire un fondo per l’oncologia tenendo conto del reale valore delle cure e recuperando risorse dall’introduzione di farmaci generici (per scadenza del brevetto di quelli di marca) e dall’appropriatezza delle terapie (utilizzo del farmaco giusto nel paziente giusto).