I sogni di gloria perduta di Campana e i litigi tra Moravia e Scarfoglio
Le «Agendine» di Leonetta Cecchi Pieraccini (Sellerio)
Fatto cauto dal mio stesso progetto, una mattina dell’ormai lontano 1996, mi recai a casa di Suso Cecchi d’Amico. Volevo mettere il naso nel diario inedito di sua madre, la pittrice Leonetta Pieraccini moglie del grande critico Emilio Cecchi. Era ben noto infatti che, durante mezzo secolo e più, Leonetta era stata l’animatrice senza fronzoli d’un salotto dove lo champagne della conversazione colta sostituiva i profumi della mondanità. Nella sua casa, affacciata su Villa Borghese, era cosi passata gran parte dell’intellighenzia poi finita nelle antologie, nelle storie dell’arte e della letteratura. Per non parlare dei bei nomi della musica e del cinema.
Suso entrò subito in argomento. Le sue parole, che finirono poi testuali in un mio resoconto di quella visita, furono d’una limpida precisione cecchiana: «Da principio quelle della mamma erano annotazioni saltuarie poi, col trascorrere degli anni, divennero una cronaca fedele dei pomeriggi e delle serate in casa nostra». Aggiunse alcune date, le colorì con i nomi di amici famosi. Mi mise quindi a disposizione una ventina di pagine dattiloscritte, scelte in un corpo di diverse centinaia. A copiarle, battendole a macchina, era stata lei stessa incominciando a mettere ordine in quel tesoro cartaceo. Trascorsi il resto della mattina a prendere appunti, deliziandomi a esempio d’un ritratto di Montale datato 1940. «Chiude sempre di più gli occhi, mentre parla — scrive Leonetta — specie se si abbandona a insinuazioni e pettegolezzi». Moravia e Scarfoglio li troviamo a litigare, nel gennaio 1941 mesi prima di Pearl Harbor, sull’entrata in guerra dell’Ame- rica e del Giappone. Moravia la esclude, l’altro se ne dice convinto.
Per leggere queste e molte altre «chicche» bisognerà attendere. L’ampiezza del materiale, lasciato da Leonetta, ha imposto una scelta. Le circa ottocento cartelle sono state suddivise cosi da dar vita a due volumi. Il primo, ancora fresco di stampa e pubblicato da Sellerio col titolo Agendine, riunisce impressioni , ricordi scritti con catturante schiettezza fra il 1911 e il 1929. Riportano echi della Grande guerra, testimoniano attraverso stralci di conversazioni l’imporsi del fascismo, annunciano la nascita della Ronda. Seguono di giorno in giorno, con affascinante semplicità, grandi e piccoli eventi della Roma artistica e letteraria. C’è il «dietro le quinte» d’un mondo dove le divergenze d’opinione, le polemiche più aspre fanno da companatico a una solidarietà oggi impensabile.
Qualche cammeo? Dino Campana che lascia una cena, dove non ha toccato cibo, dicendo «la celebrità mi corre dietro e non mi raggiungerà mai » . C’è poi Ungaretti che piange, abbracciando Armando Spadini, dopo una furiosa discussione con Antonio Baldini. Oggetto? La pittura di De Chirico. A Ungà piace e Baldini la rifiuta tanto che sono volati i cazzotti. Sorprendente la ricchissima aneddotica su Pascarella, Cardarelli, la Sarfatti e altri per far spazio a rapidi incontri con Croce, Longhi, Chesterton, Valéry...
Di famiglia toscana e socialista, non priva di benemerenza culturali, Leonetta fu moglie e madre esemplare. Alle virtù domestiche alleava quelle del talento. Allieva del Fattori, fu col pennello ritraendoli e con la penna descrivendoli, ritrattista attenta a cogliere nei suoi soggetti l’umano, i segni della quotidianità, il rapporto con la calda vita.
«Di tutto questo — scrive il nipote Masolino d’Amico nell’efficace introduzione sostanziata di notizie utili — non le fu riconosciuto, all’epoca, troppo merito. Alle donne non si badava, che funzionassero sembrava solo ovvio. Eppure... ricordate che cosa fu detto di Ginger Rogers quando morì? “Faceva quello che faceva Fred Astaire, e lo faceva andando all’indietro, e con i tacchi alti”».
Baruffe Sulle opere pittoriche di De Chirico, difese da Ungaretti, si arrivò allo scontro fisico