L’eroina greca di Tiezzi tra rito e ragion di Stato
Forse Federico Tiezzi qui a Siracusa ha fatto il suo spettacolo più bello. Parlando del suo lavoro si gingilla, come sempre, con tutto lo scibile (da Aby Warburg a Conrad, dal Ramayana a Hegel); così, prima di vedere la sua Ifigenia in Aulide ci si aspetta sulla scena l’equivalente di una inclinazione esibizionistica. Invece Tiezzi realizza una forma compiuta, suggestiva, orchestrata con sapienza nell’uso quasi musicale del Coro e nei passaggi dalle rapide sfumature di commedia a quelle drammatiche al limite dell’inesplicabile.
Quando l’esercito è in Aulide già in partenza per Troia, Agamennone apprende dall’indovino Calcante di dover sacrificare la figlia Ifigenia. È ai limiti della commedia, più che del dramma, la sua indecisione: prima no, poi sì, poi di nuovo no, poi di nuovo sì. Lo spettatore pensa che Agamennone sia un mostro; poi capisce il suo problema: se non sacrificherà la figlia, non solo l’esercito gli si rivolterà contro ma è possibile che saranno rapite (come Elena, la moglie del fratello Menelao) e violentate le donne greche. Sorvolo sulle pur significative oscillazioni di Menelao: il fatto si è che il rapimento della moglie resta un pretesto, un alibi politico (i greci intendono estendere un dominio) e drammaturgico (Euripide vuole mostrare criticamente la natura del rapporto tra uomo e donna). Cruciale, o misteriosa, è l’oscillazione di Ifigenia.
Attratta dal padre in Aulide con la falsa promessa del matrimonio con Achille, scopre che il suo sarà un matrimonio con la morte — destinato all’Ade il suo sangue virginale. Perché alla fine è lei stessa a offrirsi in sacrificio? Davvero è in ubbidienza alla ragion di Stato?
In Come uccidere tragicamente una donna Nicole Loraux nega tutto ciò: tendendo «in silenzio la gola, la vergine impedisce anche agli Argivi di toccarla — un modo di rifiutare d’esser trattata come una vittima e “sollevata” in conformità del rituale». Riscatto dunque; e la sua scomparsa e l’apparizione d’una cerva al posto del suo corpo una simbolica dichiarazione dell’autore: è il «selvaggio» a essere entrato in scena. In questo momento della tragedia c’è l’unico punto discutibile dello spettacolo: Tiezzi non rinuncia ai suoi vizi e non solo ci mostra la morte di Ifigenia (mai la morte delle donne viene in Grecia mostrata, bensì solo raccontata), ma lo fa nel segno di una iconografia legata ai rituali macabri dell’Isis. Peccato non veniale, ma per fortuna breve. Vi si era implicitamente opposta l’Ifigenia di Lucia Lavia, con intima sapienza nell’uso di corpo e voce, altrettanto sorprendente rispetto agli spettacoli con il padre Gabriele e con Ronconi.
Accenti ronconiani, per esempio in pause implausibili, si colgono in alcuni suoi tradizionali attori, da Elena Ghiaurov a Francesco Colella, alla stessa Francesca Ciocchetti, un’affascinante corifea (l’altra è Deborah Zuin). Anch’egli alla sua miglior prova l’enfant du pays Sebastiano Lo Monaco, un Agamennone imponente, che strappa sorrisi o moti di fastidio per la goffaggine psicologica e per l’incapacità del suo personaggio di dire parole chiare, che mettano a nudo il senso dell’irresolubile conflitto.