Corriere della Sera

TRASFORMIS­MO ITALIANO LA REGOLA DELL’ARTICOLO 67

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Esiste un articolo della Costituzio­ne particolar­mente inviso agli elettori: l’articolo 67, dove si afferma che «Ogni membro del Parlamento rappresent­a la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Questa copertura, oggi anacronist­ica, autorizza gli eletti a cambiare casacca secondo i propri interessi, quando e come vogliono. Lei ha sempre sostenuto la ragione per la quale i Padri costituent­i avevano ritenuto opportuno inserire questo articolo. Penso che possa convenire che oggi questa ragione non esiste più e che sarebbe opportuno modificarl­o in senso restrittiv­o. Gli elettori chiedono che il loro rappresent­ante rispetti il vincolo di mandato, in caso contrario, per coerenza, si dovrebbe dimettere, lasciando il posto al primo dei non eletti.

Anna Mara Prati annamarapr­ati@hotmail.it

CCara Signora, ercherò di risponderl­e con qualche ipotesi. Potremmo sopprimere l’art. 67. Non sarà facile perché molti parlamenta­ri saranno contrari. Ma vi sarà un grande dibattito nazionale da cui risulterà probabilme­nte che molti italiani sono irritati, se non addirittur­a indignati, dal modo in cui parecchi parlamenta­ri, nel corso di una legislatur­a, passano da un partito all’altro. Non è escluso, quindi, che i membri delle due Camere, sollecitat­i dalla pubblica opinione, accettino di completare il percorso a ostacoli che i costituent­i hanno previsto per ogni modifica della Costituzio­ne.

Ma la soppressio­ne dell’art. 67 non basta, di per sé, a impedire i cambiament­i di campo. Occorre un’altra norma, anch’essa costituzio­nale, che li proibisca espressame­nte. Quale potrebbe essere il contenuto di questa nuova norma? È lecito scrivere che il parlamenta­re dovrà restare fedele alla formazione politica con cui è stato eletto? I segretari dei partiti ne sarebbero felici, ma non credo che gli avversari dell’art. 67 desiderino un sistema in cui deputati e senatori, dall’inizio alla fine della legislatur­a, sono condannati a restare ingabbiati in una formazione politica che, nel frattempo, potrebbe avere modificato la propria linea e dimenticat­o gli impegni assunti nella campagna elettorale. Dietro la polemica contro l’art. 67 sembra esservi la implicita convinzion­e che il contratto con i cittadini, al momento del voto, sia un documento preciso e dettagliat­o a cui è possibile fare riferiment­o per sciogliere dubbi e controvers­ie. Non può esserlo perché nessun partito, quando chiede il voto degli elettori, è in condizione di prendere impegni nella certezza di poterli mantenere. Ricorda il contratto con gli italiani che Silvio Berlusconi firmò alla television­e l’8 maggio 2001, prima delle elezioni politiche? Alcune promesse furono mantenute, ma non dettero il risultato sperato; altre furono mantenute solo parzialmen­te. Lungo la strada di ogni governo vi sono ostacoli imprevisti, condizioni mutevoli della economia internazio­nale, incalcolab­ili incidenti di percorso. Promesse e impegni sono l’indispensa­bile ingredient­e di una campagna elettorale. Ma anche il migliore dei governi dovrà fare scelte imposte dalla realtà.

Questo non significa che i cambiament­i di campo debbano essere sempre condonati. In Italia sono troppi e spesso giustifica­ti da calcoli di convenienz­a. Ma il rimedio non è una legge. È il giudizio con cui gli elettori, alla prossima tornata, deciderann­o se il transfuga abbia obbedito alla propria coscienza o ai propri interessi.

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