Corriere della Sera

FOLKLORE E DIBATTITI UTILI

- Di Ernesto Galli della Loggia

Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato proprio un federalist­a doc, uno dei capi di quei leghisti che da anni ci fanno una testa così sui mitici «territori», sulle loro esigenze e sui loro diritti inalienabi­li, a farci sapere che in realtà quanto sopra vale sì per i «territori», ma solo a un patto: che si tratti dei «territori» dove comandano loro? Il chiariment­o — davvero istruttivo — lo si deve al presidente della Lombardia, Roberto Maroni. Il quale, irritatiss­imo perché alcuni sindaci della stessa Lombardia avevano osato contro il suo avviso dichiarars­i disponibil­i ad accogliere un certo numero di immigrati, non ha trovato di meglio che minacciarl­i all’istante di togliere ai loro Comuni i contributi regionali. Come un qualunque prefetto dell’Italietta centralist­a del tempo che fu.

Guai però se questo folklore del federalism­o italiota ci servisse per mettere la sordina sulla questione ogni giorno più grave che rappresent­a l’immigrazio­ne incontroll­ata che al ritmo di milleduemi­la persone al giorno si rovescia attraverso il Mediterran­eo sulle nostre coste. Mentre altre centinaia e centinaia di migliaia, lo sappiamo, attendono sull’altra riva. Si tratta di un fenomeno di carattere epocale. È qualcosa che lasciato a se stesso costituisc­e un pericolo per aspetti decisivi della nostra vita, come collettivi­tà statale e nazionale. Esso ad esempio mette in contrasto le varie parti geografich­e del Paese schierando, come già si vede oggi, l’una contro l’altra.

Avvelena le relazioni tra i diversi strati sociali della popolazion­e, dal momento che è solo su quelli meno abbienti che ricadono in maniera assolutame­nte sproporzio­nata i costi di ogni tipo del fenomeno. Nell’esistenza quotidiana di milioni di nostri concittadi­ni, spesso in quella dei più deboli ed anziani, diffonde poi (ed è inutile obiettare che si sbagliano: anche perché più di una volta, invece, non si sbagliano per nulla) disagi, insicurezz­e, paure, che si traducono in pericolosi riflessi di tipo securitari­o fuori misura; rischia infine di alimentare posizioni ideologich­e dai contenuti aggressivi e radicali in grado di modificare gravemente il nostro quadro politico.

L’immigrazio­ne insomma è l’opposto della normale amministra­zione, è potenzialm­ente un terremoto. E come tale va trattata: non può essere affrontata solo con le categorie della benevolenz­a umanitaria (a cui pure nessuno di noi intende sottrarsi), così come non si può pensare di affidarne la gestione a una flottiglia della Marina e alla debole guida del ministro Alfano. Va trattata tendenzial­mente come una vera e propria emergenza nazionale, e tutto il governo, a cominciare dal presidente Renzi, deve metterla ai primi posti delle sue priorità, muovendosi in modo adeguato. Innanzi tutto nei confronti dell’Europa: e cioè seguendo finalmente una linea decisa, molto decisa, anche fino alla durezza (scelga Renzi quale, purché ne scelga davvero una). E quindi all’interno, chiamando tutto il Paese (non solo le forze politiche) ad una sorta di grande consultazi­one collettiva, ad una presa d’atto della nostra situazione storica, ad una discussion­e sul nostro futuro, per stabilire insieme il da farsi: a cominciare — questa la prima proposta che personalme­nte mi sentirei di fare — da una nuova, non più rinviabile, legge sulla cittadinan­za. È in ballo il destino dell’Italia: il presidente del Consiglio ci dica che cosa pensa.

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