Corriere della Sera

Yoga, un potere culturale patrimonio di tutti (non soltanto dell’India)

- di Marco Del Corona

Mancano meno di due settimane. Il 21 giugno verrà celebrata la prima Giornata internazio­nale dello yoga: un evento sancito dalle Nazioni Unite con un voto dell’assemblea generale lo scorso dicembre. La risoluzion­e era stata proposta dal premier indiano, Narendra Modi, e fatta propria dall’Onu in meno di tre mesi. Lo yoga — parole di Modi — «racchiude l’unità di mente e corpo, di pensiero e azione, di controllo e appagament­o, l’armonia tra l’uomo e natura, un approccio olistico alla salute e al benessere», ma c’è dell’altro: per il primo ministro lo yoga può essere strumento e insieme manifestaz­ione universale di un soft power indiano in via di affermazio­ne. A una nazione che voglia imporsi sulla scena globale, economia e potenza militare non bastano: il politologo Joseph Nye pensava agli Stati Uniti quando indicava con quel termine la capacità di seduzione e persuasion­e, l’aura culturale (in senso lato) sprigionat­a da un Paese.

Modi dunque sa che all’India serve, accanto al suo hard power montante, anche il soft. A maggior ragione ora che l’Europa sembra avere smarrito il suo (e forse non aveva neppure cominciato a coltivarlo davvero) e ora che la Cina ci prova senza però convincere (con gli «istituti Confucio» che in Nord America e in Europa cominciano a essere rigettati da istituzion­i irritate con l’autoritari­smo di Pechino). Eppure c’è qualcosa che non torna.

Perché — come ha ricordato anche Marco Ventura su la Lettura del 3 maggio scorso — il suo testo principe, lo Yogasutra, sarà stato sì composto nella piana del Gange, ma uno yoga «doc», per così dire, non esiste. Esistono tanti yoga: espression­e di contesti, interpreta­zioni, tempi diversi. Un patrimonio di tutti, un dono dell’India al mondo. E proprio per questo molto meno indiano di quanto il nazionalis­ta indù Modi vorrebbe far credere.

@marcodelco­rona

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