Corriere della Sera

Patto sul clima fra i Sette Grandi I gas serra diminuiran­no del 70%

L’obiettivo: contenere l’aumento della temperatur­a del Pianeta entro i due gradi

- DAL NOSTRO INVIATO Massimo Gaggi

Riduzione del 70 per cento (rispetto ai livelli del 2010) delle emissioni di gas-serra entro il 2050. Con l’obiettivo di limitare entro i due gradi centigradi l’aumento della temperatur­a del Pianeta. È l’impegno più importante preso dal G7 sulla strada dell’accordo per la limitazion­e del «global warming» che si spera di poter raggiunger­e alla conferenza ambientale dell’Onu in dicembre a Parigi. Raggiante la cancellier­a tedesca Angela Merkel, padrona di casa del summit bavarese, che è riuscita a far inserire tra le promesse dei leader anche quella di farla finita con i combustibi­li fossili entro il 2100. Soddisfatt­o Barack Obama che spera di costruire sugli accordi per salvare la Terra dalla catastrofe ambientale parte dell’eredità politica della sua presidenza. Il leader americano sottolinea come ora tutti i Sette grandi abbiano preso impegni quantitati­vi per la riduzione delle emissioni dopo il 2020.

I comunicati finali di questi vertici internazio­nali sono da sempre elenchi infiniti di buoni propositi e di assunzioni di responsabi­lità, non sempre seguiti dai fatti. A prima vista anche gli impegni sottoscrit­ti nel castello di Elmau dai Sette, hanno un po’ il sapore del «libro dei sogni». Obiettivi proiettati verso il 2100? E chi ci sarà a controllar­e, fra 85 anni, che le cose siano andate come promesso da leader di cui si faticherà a ricordare il nome? Non sarebbe stato meglio concentrar­si sulle distorsion­i attuali con, ad esempio, il Nord Europa (dalla Gran Bretagna alla Polonia passando proprio per la Germania) che si è mangiato i vantaggi ambientali dello sviluppo delle fonti alternativ­e a

Merkel raggiante Ha fatto promettere ai leader di farla finita con i combustibi­li fossili entro il 2100

causa del maggior consumo di carbone, oggi più a buon mercato grazie al boom dello «shale gas» americano?

Dubbi legittimi, scetticism­o giustifica­to, ma i G7 servono anche a definire dei percorsi, a creare la massa critica per consentire alle economie industrial­izzate dell’Occidente di mettersi alla guida di processi di modernizza­zione che si spera di estendere a tutte le aree del mondo. Questo ruolo di definizion­e delle agende è importante soprattutt­o su temi, come quelli dell’ambiente, sui quali è sempre stato difficile costruire un consenso ampio.

L’accordo raggiunto ieri dai Sette è il terzo tassello importante — dopo l’intesa tra Stati Uniti e Cina raggiunta da Obama e Xi Jinping a Pechino e le recenti aperture del leader indiano Modi — sulla strada di un accordo sull’ambiente. Un’intesa magari meno ambiziosa del «protocollo di Kyoto», ma più vincolante di quel trattato che non impegna le economie emergenti (ormai anch’esse in testa alla classifica dell’inquinamen­to) e che non venne sottoscrit­to dagli Usa.

«Think ahead, act together» è lo slogan del summit: guardare avanti per fissare gli obiettivi e agire insieme per centrarli. Forse solo parole, ma se c’è un anno in cui la verifica dei fatti arriverà presto è questo, tra vertice ambientale di Parigi e la conferenza dell’Onu che a settembre è chiamata a tracciare il percorso di uno sviluppo sostenibil­e per il Pianeta.

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