Il G7 torna in pista La nuova agenda per l’egemonia dell’Occidente
Non è un ritorno all’antica contrapposizione della Guerra fredda. La storia corre. Fatto sta che il G7, il club degli occidentali ricchi, è di nuovo tra noi, come negli anni Settanta, Ottanta e in parte dei Novanta.
Il vertice delle Sette maggiori economie «non autoritarie» che si è chiuso ieri allo Schloss Elmau, in Baviera, ha ritrovato improvvisamente una parte del ruolo che aveva perso negli scorsi vent’anni. Più che una scelta, è il riflesso dei grandi cambiamenti in corso nell’economia e nella geopolitica del pianeta.
Non è solo che il G8 è stato ridotto a G7 perché la Russia di Vladimir Putin non è stata invitata, per la seconda volta, dopo l’annessione della Crimea, l’anno scorso. È che anche l’altro formato, il G20 creato assieme alle economie emergenti nell’autunno del 2008 dopo il crollo della banca Lehman Brothers, con la fine della Grande Crisi finanziaria ha perso buona parte del suo ruolo, della sua forza, forse delle sue possibilità di tenere assieme Paesi tanto diversi.
Angela Merkel, ieri e l’altro ieri padrona di casa, ha colto la nuova situazione e ha puntato a un risultato che spesso le viene bene: ha cercato l’unanimità. E l’ha di fatto trovata: sulla crisi ucraina e le sanzioni contro Mosca, sulla Grecia, sull’analisi dell’economia globale, sul clima, sul commercio internazionale, sul terrorismo, sulla difesa dalle epidemie, sul ruolo delle donne nella società.
Si tratta — ha spiegato la cancelliera tedesca durante la conferenza stampa finale del summit — di una visione dei problemi del mondo comune a Paesi che hanno la stessa idea di «ordine» e «integrità» e credono «in un sistema fondato su regole».
In sostanza, l’affermazione che l’Occidente ha un ruolo da giocare in un passaggio di disordine in una serie di scacchieri internazionali. Non è solo la questione russa, della quale si è discusso molto in Baviera, ma anche la realizzazione del fatto che trovare terreni comuni con i Paesi emergenti è sempre più difficile, dopo che il collante delle risposte alla crisi finanziaria è venuto meno. Per questo, è importante che i Sette cerchino di stabilire l’agenda non solo per affrontare i punti caldi di conflitto ma anche i grandi temi della fame, dello sviluppo, delle malattie, dei cambiamenti climatici.
Rispetto al passato, si tratta di un G7 meno nella forma di club: molto più un luogo dal quale lanciare progetti sui quali confrontarsi con il resto del mondo in una fase in cui l’egemonia dell’Occidente non è scontata e nella quale i Sette devono misurarsi con una serie di altri poli di potere, spesso autoritari ma non necessariamente.
Ieri, per dire, Frau Merkel ha sostenuto che non avrebbe senso ampliare il gruppo, per esempio, all’India: anche se democratica, ne cambierebbe i connotati, «si discuterebbe più dei problemi dell’India che di quelli dell’Africa».
@danilotaino