Corriere della Sera

Il G7 torna in pista La nuova agenda per l’egemonia dell’Occidente

- dal nostro inviato Danilo Taino

Non è un ritorno all’antica contrappos­izione della Guerra fredda. La storia corre. Fatto sta che il G7, il club degli occidental­i ricchi, è di nuovo tra noi, come negli anni Settanta, Ottanta e in parte dei Novanta.

Il vertice delle Sette maggiori economie «non autoritari­e» che si è chiuso ieri allo Schloss Elmau, in Baviera, ha ritrovato improvvisa­mente una parte del ruolo che aveva perso negli scorsi vent’anni. Più che una scelta, è il riflesso dei grandi cambiament­i in corso nell’economia e nella geopolitic­a del pianeta.

Non è solo che il G8 è stato ridotto a G7 perché la Russia di Vladimir Putin non è stata invitata, per la seconda volta, dopo l’annessione della Crimea, l’anno scorso. È che anche l’altro formato, il G20 creato assieme alle economie emergenti nell’autunno del 2008 dopo il crollo della banca Lehman Brothers, con la fine della Grande Crisi finanziari­a ha perso buona parte del suo ruolo, della sua forza, forse delle sue possibilit­à di tenere assieme Paesi tanto diversi.

Angela Merkel, ieri e l’altro ieri padrona di casa, ha colto la nuova situazione e ha puntato a un risultato che spesso le viene bene: ha cercato l’unanimità. E l’ha di fatto trovata: sulla crisi ucraina e le sanzioni contro Mosca, sulla Grecia, sull’analisi dell’economia globale, sul clima, sul commercio internazio­nale, sul terrorismo, sulla difesa dalle epidemie, sul ruolo delle donne nella società.

Si tratta — ha spiegato la cancellier­a tedesca durante la conferenza stampa finale del summit — di una visione dei problemi del mondo comune a Paesi che hanno la stessa idea di «ordine» e «integrità» e credono «in un sistema fondato su regole».

In sostanza, l’affermazio­ne che l’Occidente ha un ruolo da giocare in un passaggio di disordine in una serie di scacchieri internazio­nali. Non è solo la questione russa, della quale si è discusso molto in Baviera, ma anche la realizzazi­one del fatto che trovare terreni comuni con i Paesi emergenti è sempre più difficile, dopo che il collante delle risposte alla crisi finanziari­a è venuto meno. Per questo, è importante che i Sette cerchino di stabilire l’agenda non solo per affrontare i punti caldi di conflitto ma anche i grandi temi della fame, dello sviluppo, delle malattie, dei cambiament­i climatici.

Rispetto al passato, si tratta di un G7 meno nella forma di club: molto più un luogo dal quale lanciare progetti sui quali confrontar­si con il resto del mondo in una fase in cui l’egemonia dell’Occidente non è scontata e nella quale i Sette devono misurarsi con una serie di altri poli di potere, spesso autoritari ma non necessaria­mente.

Ieri, per dire, Frau Merkel ha sostenuto che non avrebbe senso ampliare il gruppo, per esempio, all’India: anche se democratic­a, ne cambierebb­e i connotati, «si discutereb­be più dei problemi dell’India che di quelli dell’Africa».

@danilotain­o

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