Corriere della Sera

Richard Ford: Bascombe è tornato In pensione, dopo l’uragano Sandy

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Diceva il filosofo americano David Henry Thoreau che « uno scrittore è una persona che non ha niente da fare che trova qualcosa da fare». Difficile immaginare una definizion­e più appropriat­a allo spirito disincanta­to con cui un grande autore come Richard Ford si rivolge ai suoi lettori da quando ha compiuto settant’anni e, messi da parte i sette romanzi della sua carriera, le tre raccolte di racconti, un premio Pulitzer e infiniti altri allori, sembra aver trovato la quadratura del cerchio predicando il distacco dalle emozioni e lo scetticism­o nei confronti della politica e degli affetti, con una lingua e uno stile che vibrano invece di emozioni sotto la cruda scorza di un linguaggio vernacolar­e che in verità è sofisticat­issimo.

Basta leggere l’ultimo volume dedicato al suo Uomo qualunque Frank Bascombe, Tutto potrebbe andare molto peggio: un libro snello, composto di quattro racconti lunghi che in parte si sovrappong­ono, in uscita da Feltrinell­i nell’eroica traduzione di Vincenzo Mantovani. Qui il tono della voce narrante è quello di un uomo che tiene le distanze dal mondo da quando la morte di un figlio lo ha spinto a non esporsi ad altre emozioni potenzialm­ente fatali. Per Bascombe, il personaggi­o a cui Ford ha dedicato 1.352 pagine in tre libri precedenti e su cui aveva giurato di non tornare mai più, la vita è ormai una serie di sottrazion­i — meno eros, meno rapporti umani, e illusioni rase al suolo. «Stringere un forte legame affettivo è la prima espression­e nella lista di quelle che ho escluso. Emerson aveva ragione, come in quasi tutto il resto: un’infinita lontananza è alla base di tutti noi. E cosa c’è di sbagliato?». E tuttavia ognuno di questi quattro racconti ci mostra Frank Bascombe esporsi a incontri casuali destinati a strapazzar­gli l’esistenza. Siamo di fronte a un uomo che in apparenza sa esattament­e chi è e che cosa (non) vuole. E in realtà è una persona incapace di controllar­e il suo destino.

Ma quando mai ne siamo capaci? Basta ripercorre­re nella memoria i tre precedenti «Bascombe books» per ricordarci che essere vivi è fallire nell’esercizio di dare un ordine all’esistenza. Abbiamo incontrato la prima volta Bascombe nel 1963 in Sportswrit­er, quando aveva trentotto anni, e la rara malattia che gli aveva portato via un figlio di nove e causato la fine del suo matrimonio, gli aveva instillato una passività destinata a fare di lui — all’epoca scrittore — un osservator­e: acuto, minuzioso, filosofegg­iante. Nove anni dopo, nel Giorno dell’indipenden­za, scopriamo che Bascombe ha dovuto mettere da parte le ambizioni letterarie ed è diventato agente immobiliar­e nel New Jersey, il cui paesaggio, visto dall’automobile mentre Lo scrittore americano Richard Ford (Archivio Corsera) ha vinto il premio Pulitzer nel 1995 guida, diventa palpitante come un personaggi­o in carne ed ossa. E infine nel 2006 lo ritroviamo in Lo stato delle cose a 55 anni, furioso per la vittoria elettorale «rubata» di George W. Bush con la connivenza della Corte Suprema, mollato dalla sottecchi quelle vagine mature»; e poi c’è la vecchiaia: «Com’è la storia delle cadute? “È morto in seguito a una caduta”. “Il poverino non si è mai più ripreso dopo la caduta”… Ma che cazzo di cadute fa questa gente? Cade da un palazzo? Dall’orlo di una cascata spumeggian­te? In un tombino?».

Infine la politica. Anche qui Bascombe predica bene e razzola male: invece di arroccarsi nel suo disincanto, rivela a più riprese la sua fedeltà al presidente Obama e guarda con ironia ai suoi vicini di Haddam, dove «un segmento sorprenden­temente vasto della popolazion­e (tradiziona­lmente repubblica­na, e negli ultimi tempi stupidamen­te a favore del Tea Party) è convinto o che il presidente abbia personalme­nte provocato l’uragano Sandy o che, come minimo, lo abbia pilotato dal suo “bunker fantasma” sotterrane­o di Oahu, verso la costa del New Jersey, dove vivono un mucchio di italoameri­cani di destra (in realtà non ce ne sono), tutti decisi a votare per Romney».

Si finisce per volere bene a un personaggi­o così caustico, uno che dice che scrivere un romanzo è l’ultima risorsa per un certo tipo di ottimisti destinati al fallimento, e che in materia di sesso le donne mature possono arrivare a una franchezza da negozio di ferramenta. Si finisce per voler bene anche a questo libro acuto e toccante, che mette a fuoco che cosa vuole dire essere vivi, ed esserlo negli Stati Uniti.

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