«È un errore puntare solo a isolare Putin»
E sull’Ucraina cita l’«amico» Kissinger: «Il suo ruolo è farsi ponte fra Europa e Mosca»
«Nonci può essere una pura strategia punitiva o di isolamento nei confronti della Russia » . Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano si dice «sorpreso dalla frase di Barack Obama, del quale pure resto ammiratore, quando ha detto che Putin vuole ricostituire un impero. Dove sono le condizioni perché questo accada?».
«L’evoluzione delle dediche dei suoi libri segna quella dei nostri rapporti » , spiega Giorgio Napolitano parlando di Henry Kissinger. Il senatore a vita tira fuori un volume dallo scaffale dietro la scrivania del suo ufficio a Palazzo Giustiniani. «Questo ( Crisis) me lo mandò molti anni fa. E’ un’edizione speciale, fuori commercio. Come vede siamo ancora a «every good wish» (con i migliori auguri, ndr). Qualche anno dopo, sull’edizione americana di On China, la dedica fu: «To President Giorgio Napolitano with admiration and a long friendship (con ammirazione e lunga amicizia, ndr) ». L’ultima è di tre mesi fa, quando Napolitano ha ricevuto una copia di World Order, magistrale affresco dell’ex segretario di Stato sullo stato del mondo. «Ha scritto: “to Giorgio Napolitano, friend of a lifetime”, amico di una vita. Ho pensato che sarebbe stato più corretto dire amico di metà vita, dal momento che nella sua prima parte non ci conoscevamo neppure e potevano naturalmente esserci tra di noi reciproche diffidenze. Ma ormai ci unisce una vera amicizia».
L’occasione per dirglielo, Giorgio Napolitano l’avrà all’American Academy di Berlino mercoledì prossimo, quando riceverà proprio dalle mani di Kissinger il premio che porta il suo nome. L’ex presidente della Repubblica è la prima personalità non tedesca e non americana a ottenere il prestigioso riconoscimento, che onora i campioni dei rapporti transatlantici e che nell’albo d’oro vede anche George Bush padre, Helmut Schmidt, Helmut Kohl e Richard von Weizsaecker. Sarà l’approdo comune di due percorsi iniziati da posizioni contrapposte sulla faglia ideologica che divise il secolo breve, ma entrambi caratterizzati da continua evoluzione, dettata da una lettura attenta della realtà internazionale e dei rapporti sottostanti.
«Kissinger non smette di sviluppare la sua visione e il suo pensiero. Mi ha colpito come lui, considerato in modo banale assertore della legge del potere nei rapporti fra gli Stati, definisca nel suo ultimo libro le due condizioni dell’ordine: potere e legittimità. E come affermi nettamente che “calcoli di potere senza una dimensione morale trasformeranno ogni disaccordo in una prova di forza e che d’altra parte prescrizioni morali senza una preoccupazione per l’equilibrio tendono a portare o alle crociate o a una politica impotente”. Ecco, riguardo al premio, che per me è motivo di sincera gratificazione, penso che lui abbia voluto considerare l’arco della mia esperienza, fatta di riflessioni critiche, revisioni e nuovi sviluppi, scoprendo questa strana persona che era stato un dirigente comunista italiano, da anni personalmente interessato all’America».
La leggenda vuole che in occasione del viaggio negli Stati Uniti di un capo di Stato italiano, questi durante un pranzo spezzasse una lancia in favore del Pci, parlandone in modo non completamente negativo. E che fosse proprio Kissinger a gelarlo: «Comunisti? Sono tutti uguali». Qualche anno dopo, nel 1975, Giorgio Napolitano fu invitato ad Harvard, dal direttore dell’Istituto di Studi europei, Stanley Hoffmann, che in quell’incarico era succeduto proprio a Kissinger. Occorsero però tre anni e l’arrivo dell’Amministrazione Carter perché il ministro degli Esteri di Botteghe Oscure potesse metter piede negli Usa.
Kissinger e Napolitano si sarebbero conosciuti soltanto alla metà degli Anni Ottanta. «Quando ci presentarono mi disse: era molto tempo che dovevamo incontrarci. Io risposi: non è colpa mia. Lì scattò questa scintilla reciproca di simpatia. Da allora ci siamo visti numerose volte e non rivelo nulla di nuovo quando ricordo che il nostro rapporto fu mediato dall’avvocato Agnelli».
Proprio da una riflessione di Henry Kissinger, Giorgio Napolitano parte quando gli chiedo di ragionare sui rapporti tra l’Occidente e il Cremlino, intorbiditi dalla crisi ucraina. «Apparve nel marzo 2014 un suo articolo sul Washington Post, dove diceva chiaramente che se Occidente e Russia giocano a chi la tira dalla propria parte, non ci sarà avvenire per l’Ucraina, il cui ruolo può essere solo nel farsi ponte tra Russia ed Europa. Posizione illuminata, che però non è stata fatta propria da nessuna delle due parti. Di più, in quell’articolo Kissinger ricordava che sette anni prima lui si era pronunciato contro ogni velleità di portare l’Ucraina nella Nato».
Oggi, secondo Napolitano, «non ci può essere una pura strategia punitiva o di isolamento nei confronti della Russia, ammesso che questa si faccia isolare e non si giri da qualche altra parte». E si dice «sorpreso dalla frase di Barack Obama, del quale pure resto ammiratore e col quale ho un serio rapporto di amicizia, quando ha detto che Putin vuole ricostituire un impero. Dove sono le condizioni perché questo accada? Gli scambi di accuse tra Washington e Mosca sono sscoraggianti: si polemizza da una parte su nuovi missili russi, dall’altra su sottomarini americani al largo della Norvegia pronti al lancio di testate nucleari. C’è tutta la retorica della Guerra Fredda, ma null’altro di simile al contesto di allora».
L’errore commesso verso Mosca dagli occidentali in questa fase, così l’ex presidente, consiste «nel sovrapporre alla necessità di una soluzione politica corretta del caso Ucraina, che può essere basata solo sulla piena applicazione degli accordi di Minsk, una specie di tabula rasa di tutta la strategia di cooperazione che avevamo costruito con la Russia e che ha dimostrato di essere valida e produttiva. D’altronde il segretario di Stato americano John Kerry, in visita a Sochi da Putin, ha detto che abbiamo cinque terreni sui quali cooperare, dalla lotta all’Isis al nucleare dell’Iran. E ho anche apprezzato la risposta data da Putin nell’intervista a lei e al direttore del Corriere Fontana: «Siamo alleati contro il terrorismo, le armi di distruzioni di massa e nella soluzione delle crisi regionali».
Dall’Ucraina all’Unione Europea, squassata dalla crisi, divisa dai suoi conflitti interni, contestata da pezzi crescenti delle sue opinioni pubbliche. «Oggi — dice Napolitano — dobbiamo evitare l’illusione deviante della non Europa, il miraggio che esistano soluzioni ai problemi dei nostri Paesi al di fuori di un’integrazione sempre più stretta, dell’obiettivo di una “unione sempre più vicina” rimasto nel Trattato di Lisbona. Chi prospetta altro e chi passa da una giusta critica delle insufficienze della Ue a una posizione distruttiva, propone solo il ritorno a follie nazionalistiche». Ma l’ex presidente è cauto sulla necessità di un Paese guida: «Le leadership si possono affermare, ma contribuendo alla linea comune. Non possiamo idoleggiare l’ipotesi di un Paese guida ovvero reagire invocando alternative alla Germania. Le istituzioni europee devono essere fortemente riviste, perché hanno un doppio problema di funzionalità e comprensibilità agli occhi dei cittadini, ma possono garantire una direzione collegiale. Poi, chi ha più filo tesserà. Certo oggi l’impulso che viene da Berlino è trascinante, tuttavia contrastato e per certi versi discutibile nelle indicazioni di politica comune che esprime».
Tornando a Kissinger e alla necessità di costruire un nuovo ordine mondiale, Giorgio Napolitano nota la «pretenziosità» del G7, ormai non più in grado di dettare l’agenda dello sviluppo mondiale. E indica nel G20, nonostante alcune carenze della sua composizione come la scarsa presenza dell’Africa, il «luogo privilegiato di una nuova governance mondiale multilaterale».
Sorpreso dalla frase di Obama quando ha detto che Putin vuole ricostituire un impero. Dove sono le condizioni? Tra Usa e Russia c’è tutta la retorica della Guerra Fredda, ma null’altro di simile al contesto di allora Apprezzo la risposta di Putin nella vostra intervista: «Siamo alleati contro terrorismo, armi, crisi regionali»