In nome della madre (senza smancerie)
Prima uscita pubblica, alla Roosevelt Island, per la candidata favorita alle Presidenziali del 2016 Un discorso personale, citando la madre e la famiglia: «Sarò la prima nonna alla Casa Bianca»
Sisapeva che Hillary, nel primo discorso della campagna 2016, avrebbe parlato della mamma. Una madre forte, cresciuta tra fatiche e tragedie. L’ha fatto senza smancerie.
Giovanile nell’abito azzurro che sfoggia sotto il sole di Roosevelt Island, in uno scenario monumentale ma tutto circondato dal verde rassicurante degli alberi. Un luogo scelto con cura e parole scelte con cura per quello che è il vero esordio di Hillary Clinton nella campagna elettorale per le presidenziali 2016. L’ex first lady ed ex segretario di Stato ha i toni convincenti del politico di razza quando promette agli americani che lotterà contro le diseguaglianze e per una prosperità condivisa, quando si impegna a farla finita «con i privilegi per pochi» e attacca a testa bassa i repubblicani «che sono scesi in campo in tanti, ma cantano tutti la stessa canzone: Yesterday. Perché non sanno guardare al futuro».
Una Hillary addirittura brillante quando scherza sui capelli ingrigiti di Obama e si concede un po’ di autoironia anche sulla sua età avanzata (se sarà eletta, al momento del suo insediamento avrà 69 anni): «Beh, uno dei miei vantaggi è che non vedrete la mia testa diventare bianca negli anni in cui sarò alla Casa Bianca, visto che i capelli me li tingo da anni. E poi sarò la più giovane donna presidente della storia americana!».
Meno convincente, l’ex first lady, quando si mette a parlare del padre Hugh Rodham e della madre Dorothy, dell’esempio che hanno rappresentato per lei. Cerca di cambiare tono, di dare un’inflessione più intima alla voce, ma l’operazione appare un po’ artificiale, forse perché è stata ampiamente anticipata a giornali e televisioni dagli strateghi della sua campagna elettorale: nel 2008 Hillary si presentò agli americani solo come statista, lasciando la sua vita privata fuori dalla competizione elettorale. Non funzionò, sembrò troppo fredda, proprio mentre il suo rivale Barack Obama, poi uscito vincitore dalla sfida per la nomination, usava a piene mani la sua ricca narrativa familiare.
Un errore da non ripetere e allora, per avvicinarsi alla sensibilità di un elettorato fatto di gente che lavora e che spesso fatica ad arrivare a fine mese, torna utile la lezione materna: «Dorothy mi ha insegnato che a ognuno nella vita va data una chance e ognuno deve avere un campione, un esempio da seguire». Memorie che tornano indietro fino all’infanzia tragica della madre, i maltrattamenti da lei subiti da parte dei nonni. La capacità di stringere i denti, la volontà di riscatto della sua famigli alla quale Hillary lega la sua determinazione a battersi per cambiare politicamente l’America.
E qui, tornando alla politica, il tono di Hillary diventa un po’ populista nell’elenco di promesse assai difficili da realizzare, ma ugualmente avanzate con tono perentorio: «Siamo usciti dalla crisi provocata da chi aveva fatto false promesse,