Corriere della Sera

Due agenti per ogni migrante Quelle espulsioni da semplifica­re

- di Dino Martirano

L’ 80 per cento degli immigrati che sbarcano in Sicilia arriva dalla Libia, ma ora con il doppio governo, di Tobruk e di Tripoli, l’Italia certo non ha la possibilit­à di sottoscriv­ere alcun accordo di riammissio­ne dei migranti irregolari. Già ai tempi di Gheddafi, in cambio della costruzion­e di una faraonica autostrada costiera, il regime africano si impegnava a «riammetter­e» anche cittadini di Paesi terzi che erano transitati dalla Libia. Poi, nel 2011, arrivò la Corte per i diritti dell’uomo a bloccare, per mancanza assoluta di garanzie umanitarie, le espulsioni verso la Libia.

Oggi il problema di non dialogo con la Libia diventa drammatico ( 62.692 sbarchi nel 2011, 170.100 nel 2014, oltre 500 mila immigrati che sarebbero in attesa di prendere il mare) ed è alimentato anche da fronte Ovest, a noi sconosciut­o: gli ultimi dati sui richiedent­i asilo evidenzian­o un’impennata delle domande (gennaio 2015) dall’area francofona nel perimetro compreso tra Mali, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio.

La Farnesina

Il Viminale ha segnalato questa rotta occidental­e, ma anche la «debolezza» delle relative richieste d’asilo rispetto a quelle presentate da eritrei e siriani che fuggono da massacri e guerre civili. Per questo già domani al ministero degli Esteri è prevista una riunione tecnica per verificare le disponibil­ità, non solo economiche, per stringere con questi 4 Paesi altrettant­i accordi di riammissio­ne.

Una ragionevol­e contropart­ita per i Paesi africani è la logica di questi patti e la diplomazia può ottenere buoni risultati, come è avvenuto con l’Egitto e la Tunisia e in misura ridotta con i 30 Paesi con cui l’Italia ha chiuso gli accordi di riammissio­ne. Tuttavia, c’è da chiedersi se stavolta basterà mettere in campo lo schema classico: il Viminale promette mezzi tecnologic­i e addestrame­nto di polizia per il controllo dell’immigrazio­ne mentre la Farnesina fa leva sulla cooperazio­ne e l’aiuto allo sviluppo. La ristrettez­za di bilancio limita non poco gli spazi di manovra per spalmare i fondi italiani destinati alla cooperazio­ne internazio­nale e per questo nel prossimo vertice Ue dei capi di Stato e di governo, e prima ancora in quello dei ministri degli Esteri, l’Italia proverà a far squadra con la Germania, e magari con la Francia, per varare un documento in cui si punta anche ad accordi collettivi di riammissio­ne targati Ue (come quello del 2012 con la Turchia) con i Paesi terzi.

Rimpatri

Non è facile espellere un immigrato irregolare, fermo restando che chi arriva dalla Siria, dalla Palestina e dal Corno d’Africa si mette in fila con buone speranze per ottenere lo status di rifugiato.

La procedura: entro novanta giorni (prima erano 180) va contattata l’autorità consolare del Paese di provenienz­a (presunto) che procede all’intervista del cittadino extracomun­itario e alle verifiche. Poi c’è il viaggio di ritorno, con i relativi costi: due agenti per ogni migrante «riammesso» che certo non facilita loro un compito delicato. Morale, il meccanismo produce scarsi effetti: nel 2014, su 15 mila decreti di espulsione ne sarebbero stati eseguiti il 35%.

In fuga verso Nord

In occasione del G7 in Baviera le frontiere interne della Ue sono state blindate (e lo saranno fino al 15 giugno): così è straripato, a Roma Tiburtina e a Milano Centrale, quel fiume carsico che, dai porti dell’Adriatico e dalla Sicilia, trasporta verso i valichi alpini migliaia di esseri umani ogni giorno. Sono sans papiers, richiedent­i asilo, minori non accompagna­ti, madri con figli al seguito che hanno parenti nel Nord Europa. Molti di loro ce la fanno senza dare nell’occhio (e spendendo notevoli somme di denaro). Molti altri arriverann­o in Sicilia a partire da martedì. Quando si placherà il maestrale.

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