Corriere della Sera

Transenne in stazione I profughi accolti nei cubi trasparent­i

Milano, scelta l’area dei negozi come centro assistenza

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caos, nove pattuglie della Polfer e di rinforzo anche le uniformi dell’esercito. All’ora di pranzo, tra la distribuzi­one dei pasti e dei vestiti usati, l’ingresso della Centrale sembra un mercato. Un ragazzo eritreo, nonostante il caldo, ha scelto una giacca imbottita arancione e già l’indossa, forse in previsione del viaggio verso Nord. Una adolescent­e siriana ha trovato una gonna a scacchi marroni lunga e degli zoccoli di gomma gialli.

Adesso è più evidente la divisione per nazionalit­à. C’è un gruppo di famiglie in fuga da Aleppo che si porta dietro venti bambini, ha viaggiato attraverso la Turchia, s’è imbarcato da lì, è approdato in Puglia, infine nella notte in autobus a Milano. E ora si tiene in disparte, all’angolo tra il bar e lo stand della Veneranda Fabbrica del Duomo, mentre due hostess di una marca di cosmetici cercano di agganciare i passanti con una promozione. Sono arrivati degli animatori, si gioca in cerchio e con la palla. Un bambino è stato truccato da uomo ragno. La ragazzina dalla gonna a scacchi arrotola un palloncino come una corona.

Gli eritrei sono molti di più e molto più difficili da intercetta­re, anche per gli operatori. Pure per una cronica mancanza di mediatori che sappiano il tigrigna e riescano a vincere la diffidenza di chi ha fatto un viaggio atroce. La pediatra di turno al container del presidio sanitario è riuscita a visitare un bimbo africano, diagnostic­ando una dermatite, e poi l’ha perso di vista.

Sgomberato il mezzanino, serve un punto di riferiment­o per le registrazi­oni, l’acqua, i panini, i trasferime­nti nei centri di accoglienz­a. Ferrovie aveva messo a disposizio­ne uno spazio lontano un chilometro. L’opera di convincime­nto è stata lunga. Pisapia avrebbe pure parlato con l’amministra­tore delegato di FS, Michele Mario Elia, per un’alternativ­a. Alla fine, intervenut­o anche il prefetto, si è trovato un accordo sui locali (più vicini e più veloci da ristruttur­are) dell’ex dopolavoro ferroviari­o.

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