Corriere della Sera

Naso rosso

- A. Cop. A. Cop.

Laura Centemeri, 43 anni, lavora in uno studio legale e nel weekend fa la volontaria con i bambini profughi

«Non ce la faccio a rimanere inerme» dice Laura Centemeri, 43 anni. Allora ha infilato il suo naso rosso ed è venuta in Centrale. Dipendente di uno studio legale dal lunedì al venerdì, nei weekend pagliaccio «Pasticcio» per i bambini profughi di passaggio a Milano. «Faccio parte di un’associazio­ne di clown-terapia — racconta — e in genere andiamo negli ospedali». Da due anni, però, «ho cominciato a venire al mezzanino della stazione e ad andare nei centri di accoglienz­a». Ieri, «Pasticcio» era nell’atrio, tra il bar e il negozio del Duomo. «Sinceramen­te, una situazione che fa schifo — sbotta —: era già un macello, adesso lo è ancora di più. Mi colpisce che li stiamo riempiendo di roba da mangiare, ma poi è gente che dorme qui a terra. Non capisco come si possa accettare...». Con lei ci sono anche altri volontari, soprattutt­o donne. «La Milano bella sta rispondend­o — continua Laura —, in questi anni ho conosciuto molte persone che cercano di aiutare». Pensionati, studenti. E anche passanti. In attesa di prendere il treno, un uomo ha comprato tre barattoli di crema di cioccolato per i bambini. «Sono straordina­ri: nonostante tutto riescono a divertirsi».

Sportivo

Ahmadof si è laureato in Scienze motorie a Damasco. Ha speso 4.000 dollari solo per arrivare in Libia

I suoi amici sono già in Germania «e mi hanno detto che stanno bene: appena posso, li raggiungo». Ahmadof, 25 anni, s’è deciso per ultimo a partire. Siriano di Damasco, è laureato in Scienze motorie. «Insegnavo educazione fisica ai bambini delle elementari e delle medie — racconta —. Ma nel mio Paese la situazione va di male in peggio». Il 27 aprile ha preso un volo per il Sudan: dalle testimonia­nze recenti, è una delle rotte adesso più battute. «Da lì ho attraversa­to il deserto a piedi e a bordo di una Land Cruiser, che a un certo punto si è anche ribaltata». Sette giorni di viaggio e quattromil­a dollari per arrivare alla prima tappa libica, Agedabia, in Cirenaica. «Ci tenevano in un cortile chiuso a chiave». Ancora dieci giorni e altri alloggi di fortuna per raggiunger­e la costa: «Ci siamo imbarcati a Zuara, 450 persone su un barcone, che dopo otto ore di navigazion­e si è fermato». Qualcuno ha chiamato Nawal, la ragazza di Catania diventata punto di riferiment­o dei profughi siriani in fuga — «Non io che ho perso il cellulare nel deserto» —, sono arrivati i soccorsi. Approdo ad Agrigento, pullman per Roma e poi per Milano. Restare in Italia? «No, non è bella, voglio partire».

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