Marino: promesse mantenute, io resto Il sindaco sfila al gay pride e cita il soprannome dato nel ’44 al Duce: non lascio Roma ai «puzzoni» Orfini: nessun commissario, modello Expo per il Giubileo. Ma martedì arriva la relazione prefettizia
Andare al Roma Pride, per Ignazio Marino, è come uscire al sole dopo due giorni di umidità e di pioggia. Calore, umano e atmosferico, mezza giunta stretta (anche fisicamente) intorno a lui, Nichi Vendola che lo abbraccia e lo bacia, Matteo Orfini con la figlia di tre anni sulle spalle. La Roma dei diritti, delle unioni civili, quella in cui — dice Marino citando Luciano Ligabue — «l’amore conta» è la sua coperta di Linus, il suo porto sicuro. Quello nel quale rifugiarsi, appena tornato da Londra, dopo le polemiche (solo parzialmente rientrate) col governo sulla regia per il Giubileo.
Marino scende dalla macchina, dopo essere passato a casa dall’aeroporto, e arriva a piedi attraversando piazza della Repubblica. È in camicia bianca, la fascia tricolore intorno al collo, i pantaloni blu. Sorride, stringe mani, si fa i selfie, riesce — nell’afa appiccicosa di Roma — a non sudare («è un animale a sangue freddo » , scherza uno dei suoi). Fa avanti e dietro per divedersi tra i due striscioni di partenza del corteo, quello «ufficiale» della manifestazione — «Liberiamoci», la scritta sui colori arcobaleno — e quello bianco di «Roma Capitale».
Con lui, il vicesindaco Luigi Nieri, la «fedelissima» Alessandra Cattoi, l’ambientalista Estella Marino, l’ex magistrato Alfonso Sabella, la responsabile del Commercio Marta Leonori. A latitare sono i consiglieri comunali, con le sole eccezioni dell’orfiniana Giulia Tempesta e della presidente dell’aula Valeria Baglio. Lo « scollamento » tra giunta e consiglio è reale. Quelli di Sel ci sono ma in disparte, altra cartolina della maggioranza.
Marino si mette alla testa della manifestazione, la gente lo va a salutare. Una persona lo esorta ad andare avanti, e lui: «Senza dubbio». Poi, a Santa Maria Maggiore, dopo aver osservato con una certa disapprovazione il cartellone di una rassegna dell’ambasciata argentina su Evita Peron, un’altra signora lo avvicina: «Ignazio vai avanti, non mollare». E lui, di getto: «E certo che non mollo. Mica vogliamo riconsegnare Roma ai puzzoni? ». Una citazione storica: aridatece er puzzone era la scritta che comparve nella Capitale nel ‘44 e quello era il soprannome affibbiato dai romani a Mussolini. A chi si riferisca Marino è facile immaginarlo.
E le tensioni col governo? Il sindaco glissa: «Oggi siamo qui per parlare d’altro. Queste sono una giunta e una maggioranza che rispettano le promesse che fanno. Avevamo detto un anno fa che le unioni civili sarebbero diventate realtà. Un impegno mantenuto». Altri in programma? «Tutti quelli che potremo realizzare con le leggi a nostra disposizione». È l’unico messaggio «politico» del pomeriggio. I collaboratori gli mostrano sul telefonino l’appello, firmato da Gustavo Zagrebelsky, Furio Colombo, Tana de Zulueta, Paolo Ruffini ed altri, dal titolo «nessuno tocchi Marino». Anche Orfini smussa gli attriti: « Nessun commissariamento sul Giubileo. Utilizzeremo il modello Expo. Marino non è in discussione».
Martedì, però, arriva la relazione degli ispettori della Prefettura: quasi mille pagine, che fanno tremare la politica romana. Da quel documento, che poi passerà prima ad Alfano e poi in Consiglio dei ministri, si deciderà se il Comune di Roma va sciolto per mafia oppure no. E Rosy Bindi, presidente della commissione antimafia, è per non fare sconti: «L’auspicio è che non ci siano le condizioni per lo scioglimento del Comune di Roma ma se ci sono, e non lo facciamo, poi non potremo sciogliere altro. Dobbiamo essere coerenti».
I distinguo di Bindi «Sciogliere il Comune? Spero che non serva ma se fosse necessario bisogna essere coerenti»