Dacia Maraini: la mia Sana’a, un sogno perduto
La scrittrice ricorda il viaggio nell’antica città amata da Pasolini e oggi minacciata dalla guerra
«A ll’inizio degli anni Settanta Sana’a assomigliava più a un sogno che a una città di uomini, era un volo ingenuo, il disegno di un bambino o di un pazzo». Dacia Maraini era in Yemen con Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, uno dei tanti viaggi che hanno reso unico quel legame fatto di notti all’addiaccio, scoperte, avventure del corpo e dell’anima.
Un sopralluogo prima che Pasolini cominciasse le riprese per il «Decameron» del 1971, terminate le quali avrebbe dedicato i resti della pellicola al documentario «Le mura di Sana’a», dichiarazione d’amore per quell’angolo intatto di Medioevo assediato dal progresso, la città vecchia patrimonio dell’umanità oggi minacciata dai bombardamenti della coalizione a guida saudita.
«Le case di fango venivano su dalla terra come una fantasmagoria — ricorda Dacia Maraini —, Pier Paolo era alla ricerca di un mondo arcaico e puro, libero dalle convenzioni di una modernità consumata. Lo trovammo lì e ce ne innamorammo. Sana’a è in montagna, all’epoca raggiungerla non era semplice, i cinesi avevano da poco costruito l’unica strada asfaltata che la collegasse al mare. Apparteneva a un altro tempo. La miseria impediva persino di tenere in funzione le prigioni, così vedevi per strada gruppi di galeotti scalzi costretti a trascinare enormi sfere di ferro legate alle caviglie, sotto lo sguardo di soldati anche loro a piedi nudi. S’improvvisavano scuole di fortuna all’ombra degli alberi. E noi eravamo immersi in quell’atmosfera irreale, tutto ci sorprendeva. Dormivamo nello stanzone di una caserma, senz’acqua calda, a malapena trovavamo da mangiare, ma non ne soffrivamo, adattarsi a qualsiasi contesto era un modo per entrare in contatto con la verità non detta dei luoghi che incontravamo. Un giorno alcuni contadini al mercato ci offrirono delle uova un po’ troppo piccole e leggere. Desideravamo tanto una frittata. Quando le aprimmo, scoprimmo che erano vuote».
Il racconto All’inizio degli anni 70, Sana’a pareva il disegno di un bambino o di un pazzo