Corriere della Sera

Il 13enne che ha ferito la madre: «Era sempre ubriaca» Le lacrime del ragazzino. I soccorrito­ri li hanno trovati abbracciat­i. Lei non rischia la vita: certo che lo perdono

- Rinaldo Frignani

«Scusa, scusa, scusa». Gli abiti della madre sono impregnati di sangue, lei è stesa sul pavimento. Ha quasi perso i sensi mentre il figlio l’abbraccia disperato. «Scusa mamma, mi dispiace», ripete cercando di tamponarle le ferite. E piange. Piange come un bambino. Perché a 13 anni in fondo è poco più che un bambino, che però venerdì sera ha afferrato un coltello da un cassetto della cucina per colpire cinque volte la donna che più ama al mondo ma che per un attimo ha odiato al punto da volerla uccidere.

«Mi ero stancato, tornava a casa sempre ubriaca», ha raccontato più tardi il ragazzino ai medici dell’ospedale Villa San Pietro. Ora Ivan (un nome di fantasia per proteggere l’identità del minorenne) è assistito dagli psicologi del Bambino Gesù: vista l’età non è imputabile, ma la polizia ha inviato gli atti sia al Tribunale dei minori sia ai servizi sociali. Forse sarà affidato a una zia che vive a Roma o alla nonna giunta da San Pietroburg­o. «È pentito, dispiaciut­issimo. Testa china, sguardo basso», spiegano gli investigat­ori del commissari­ato Ponte Milvio, diretti da Massimo Improta, che venerdì sono accorsi nella palazzina di via Volusia, sulla Cassia, all’estrema periferia nord della Capitale.

Al loro arrivo l’ambulanza aveva già portato via sia la madre sia il tredicenne. A chiamare il 118 era stata proprio la donna. «Dai, Ivan, prendi il telefonino che chiamiamo l’ospedale » , aveva sussurrato al ragazzino Irina U., 39 anni, russa, da tempo residente nella Capitale. I barellieri li avevano trovati abbracciat­i. Una volta al pronto soccorso il tredicenne era sparito, ma solo per qualche minuto. Irina se la caverà. Ieri chiedeva del suo bambino: «Ditemi come sta, dove sta. Certo che lo perdono». I ricordi della serata di sangue sono offuscati dal dolore e dai postumi dell’ultima sbornia. Irina è stata una ragazza madre. Il padre di Ivan, anche lui straniero, non ha mai voluto riconoscer­e il figlio che lei ha tirato su da sola, fra mille difficoltà. Un appartamen­to dignitoso, su due piani, un lavoro di rappresent­ante di indumenti importati dalla Russia. Fino a due anni fa anche una relazione stabile con un romano, ma poi è finita.

L’alcol ha preso il sopravvent­o, gli affari sono peggiorati — il tredicenne era passato poco tempo fa da una scuola privata a una pubblica — e il rapporto fra madre e figlio ha cominciato a vacillare, nonostante il ragazzo, che frequenta con profitto la seconda media in un istituto sulla Cassia, non abbia mai manifestat­o disagi particolar­i. Almeno in pubblico. Fra le mura domestiche la realtà era diversa: polizia e carabinier­i sono intervenut­i più volte perché la donna scatenava il panico. Ivan ha sempre assistito a queste scene. Anche venerdì. Voleva uscire con gli amici, Irina gliel’ha impedito. «Basta, mi hai stufato!», le ha allora urlato il ragazzino, prima di saltarle addosso con il coltello.

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