Il rettore dell’Insead: l’Italia? Non sa attrarre i talenti
Mihov: è al 73° posto nel nostro indice. Deve creare un ambiente innovativo e competitivo
MILANO «È una buona riforma, ma non basta. Perché ciò che conta è creare un ecosistema in grado di attrarre investimenti dall’estero, che sia in grado di produrre innovazione e creatività». Parole e pensieri di Ilian Mihov, rettore di Insead, in questi giorni a Stresa per il primo forum in Italia degli ex alunni di una delle business school più prestigiose del mondo. Il riferimento è alla riforma del lavoro licenziata dal governo Renzi che ha smontato il totem dell’articolo 18 dello Statuto per le nuove assunzioni introducendo una maggiore flessibilità in uscita. Dal suo osservatorio Mihov rileva che il tema strategico per qualunque sistema-Paese è il grado di facilità (o meno) nel creare impresa: «L’Italia è al 147esimo posto nella classifica della Banca mondiale e molto è da ascrivere alla lentezza nel risolvere con i conflitti tra privati e Pubblica amministrazione. Tre anni e mezzo di media per una controversia sono troppi per un Paese avanzato».
Un nodo che a ben vedere si ripercuote sugli investimenti dall’estero l’unica condizione per la quale — secondo Milov — è possibile tornare a crescere con una certa convinzione: «In Cina ad esempio il 40% del Prodotto interno lordo proviene dall’afflusso di capitali dall’estero». Come dire: con la sola domanda domestica non si torna a creare posti di lavoro. Soprattutto non li si crea se non si scommette convintamente sull’economia digitale che a Singapore, dove Milov vive, è diventata la forza motrice del Paese: «Il governo ha creato qui una piccola Silicon Valley — dice — trasformando edifici fatiscenti in incubatori di startup dove chi ha un’idea e vuole mettersi in proprio ha tutti i servizi per provare».
La città-Stato certo si giova di dimensioni piuttosto ridotte, tali da potersi risparmiare investimenti importanti sulle infrastrutture, leggi la banda larga per Internet veloce. «Non è solo la costruzione di una rete capillare a far da detonatore di posti di lavoro — osserva Milov —. La differenza sta nella creazione di un ambiente innovativo e competitivo in grado di attrarre talenti».
Il capitale umano, potremmo definirlo. Questione contigua alla cosiddetta fuga dei cervelli, da noi, si dice, spesso penalizzati per l’incapacità di ricoprire ruoli apicali in università, aziende ed enti di ricerca. «Come Insead abbiamo elaborato un indice che misura il grado di attrattività di un Paese per i migliori talenti. Ecco l’Italia non occupa una posizione di rilievo perché è al 73esimo posto, pertanto c’è ancora molto da fare», spiega Milov.
Fin qui i rilievi, ma c’è qualcosa che si sta muovendo davvero nel nostro Paese. «Credo che il governo italiano stia facendo bene — aggiunge Milov — sta provando a smontare alcune resistenze che bloccano la crescita. Un conservatorismo che in questi anni ha sempre giocato contro ogni cambiamento anche per la difficoltà nel trovare un esecutivo stabile con un mandato elettorale chiaro e una maggioranza coesa. Ora il quadro è cambiato. Certo si può fare di più, ma finora la direzione è giusta».
La crescita è frenata anche dalla durata delle liti: 3 anni e mezzo sono troppi