Corriere della Sera

Il segnale per i democratic­i e l’onda lunga dell’astensioni­smo

- Di Massimo Franco

L’onda lunga dell’astensioni­smo trasporta molti detriti. Si intravedon­o quelli di istituzion­i locali delegittim­ate; di scandali come quello di Mafia Capitale; e di un’emergenza immigrazio­ne che si scarica sulle città. La somma è stata l’elezione di sindaci colpiti dalla scarsa partecipaz­ione: meno della metà dei votanti. Dai primi dati il Pd rischia di perdere Venezia. Sul profilo di vincitori e vinti, che pure contano, si allunga la grande ombra del partito del rifiuto delle urne.

Per questo, se anche qualcuno dirà che era un test per il governo di Matteo Renzi, il responso di ieri va oltre l’esecutivo e la sua maggioranz­a. I ballottagg­i non possono essere nobilitati neppure come un voto-cavia per misurare la bontà o la pericolosi­tà dell’Italicum. Con i numeri di ieri, qualunque simulazion­e rischia di rivelarsi azzardata. Siccome al ballottagg­io nei 78 Comuni non c’erano candidati del Movimento 5 Stelle, si cercava di capire dove sarebbero finiti quei consensi. Il sospetto è che in parte siano rimasti a casa, in parte si siano dispersi negli schieramen­ti.

Il numero degli astenuti conferma solo quanto l’opinione pubblica senta lontani i poteri locali: sebbene il calo sia in linea con la tendenza emersa alle Regionali del 31 maggio. Sono premesse che rendono l’Italia elettorale omogenea, da questo punto di vista, da Enna a Venezia, la città più importante tra quelle dove si è votato. Il capoluogo veneto era reduce da undici mesi di commissari­amento per uno scandalo che aveva toccato la giunta precedente di centrosini­stra.

Il Pd sperava che bastasse candidare l’ex magistrato e senatore Felice Casson, in vantaggio al primo turno, per recuperare credibilit­à. Non è stato così. Il centrodest­ra ha strappato il governo di Venezia con un personaggi­o quasi sconosciut­o, Luigi Brugnaro. E sebbene Casson sia espression­e della minoranza ostile a Matteo Renzi, la battuta d’arresto si farà sentire nei rapporti tra premier e Pd. Rivendicar­e la vittoria, però, non è facile per nessuno. L’astensioni­smo patologico rimanda ad una questione non di partiti e di maggioranz­e, ma di sistema. In teoria mancano due anni e mezzo alle elezioni politiche. Dunque, il tempo per contrastar­e il partito del non voto ci sarebbe. Ma dipenderà da come verrà impiegato. Le inchieste potrebbero portare Roma ad elezioni anticipate. E le emergenze mettono chiunque governi sulla difensiva.

L’impression­e è che l’intera nomenklatu­ra partitica sia sotto scacco. Il sospetto è che questo malumore sia alimentato e non arginato dalla propension­e alla rissa di tutti contro tutti. Si tratta di una deriva che la stragrande maggioranz­a del Paese rifiuta. Non si tratta di cambiare o aggiornare candidati o alleanze. Viene richiesto un cambio di cultura politica che faccia riscoprire l’interesse nazionale. Potrebbe essere l’antidoto alla desertific­azione progressiv­a delle urne e della democrazia.

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