Corriere della Sera

Riforme e minoranza pd La strategia del premier

Così la riforma dell’istruzione slitterebb­e di una settimana

- di Maria Teresa Meli

ROMA Matteo Renzi ne è convinto sul serio. E lo ripete spesso nelle sue conversazi­oni con i collaborat­ori: «Fino a qualche tempo fa dicevano che c’era la dittatura ventennale renziana, ora dicono che il mio governo è in crisi. Due letture sbagliate. La verità è che al Senato andremo avanti e non ci areneremo nella palude come crede — e spera — qualcuno».

Il presidente del Consiglio, però, sa anche, e non può né vuole nasconderl­o, che la situazione politica (oltre a quella internazio­nale) è quanto mai delicata, perciò vuole studiare le prossime mosse con gran prudenza e concentraz­ione: niente gioco d’azzardo, bensì d’astuzia. Nessuna impennata o scatto d’ira: «Da parte mia in questa fase occorrono molta lucidità e buon senso, non mi posso far sommergere dalle ansie».

Niente inquietudi­ni sul tavolo da gioco di Bruxelles, ma nemmeno su quello del Senato, dove la minoranza interna è lì che attende di sbarrargli il passo e di dimostrare che quella del premier può essere «una resistibil­e ascesa».

Perciò solo con i fidatissim­i (Renzi non ha comunicato le sue reali intenzioni nemmeno ad autorevoli senatori del Partito democratic­o) ha preparato una strategia per uscire dall’impasse in cui potrebbe venire a trovarsi.

Com’è noto, la riforma della scuola, oltre a essere rallentata dalle resistenze della sua minoranza interna e dei due membri della Commission­e interessat­a ( Mineo e Tocci), per essere sbloccata ha anche un altro problemino. Deve attendere i pareri della commission­e Bilancio di Palazzo Madama, presieduta da quell’Antonio Azzollini sul cui capo pende una richiesta d’arresto e che parrebbe non avere alcuna voglia di affrettars­i.

Renzi e i suoi meditano perciò di far invertire l’ordine dei lavori, facendo arrivare in Aula, la settimana prossima non la scuola bensì un’altra riforma, quella della Rai, che in molti nello stesso Pd davano per morta.

La decisione non è definitiva, ma se il tira e molla sulla legge della «buona scuola» dovesse continuare, allora si procedereb­be in questo modo. Nel caso, la scuola slitterebb­e alla settimana successiva. «Ma noi — assicura il capogruppo Luigi Zanda — vedrete che ce la faremo».

Comunque vada a finire, una cosa è certa: il presidente del Consiglio non intende essere «ostaggio» nelle mani della minoranza. Perciò la riforma della scuola deve uscire dal Senato blindata, nel senso che alla Camera non potrà essere cambiata di una virgola. In parole povere, l’accordo sulla materia dovrà essere fatto prima sia con la minoranza di Palazzo Madama che con quella di Montecitor­io. Entrambe dovranno dare la loro parola. E i bersaniani della Camera dovranno promettere di stare ai patti. Altrimenti si va avanti a colpi di fiducia (che comunque non sono esclusi, vista la ristrettez­za dei tempi).

Lo stesso accordo varrà per la riforma costituzio­nale che dovrà essere licenziata dal Senato a luglio. Anche in quel caso, se si trovasse l’accordo con la minoranza di Palazzo Madama, i bersaniani della Camera dovrebbero assicurare di non cambiarlo di una virgola. «Niente mercantegg­iamenti o prese in giro su cose serie come queste, non si può usare la riforma della Costituzio­ne per scopi politici interni», sono le parole d’ordine del premier.

Ma sul ddl Boschi non c’è ancora accordo con la minoranza sull’unico vero problema: l’elezione dei senatori. Pd e Ncd (e ora parrebbe anche FI) propongono di mettere in un listino speciale i consiglier­i regionali che potrebbero andare a Palazzo Madama. La minoranza dem invece vuole l’elezione diretta dei senatori e come unica forma di mediazione propone che questa votazione avvenga in simultanea con quella delle regionali.

Se mai verrà trovato, il compromess­o potrebbe rientrare in una norma finale sotto forma di legge ordinaria.

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