«Azioni aggressive e pericolose Gli sviluppi sono imprevedibili»
Il presidente dell’Estonia Ilves: «Niente missili sul nostro territorio»
«Missili americani contro la Russia? Non nel mio Paese». Toomas Hendrik Ilves, 61 anni, da nove presidente della Repubblica estone, non nasconde l’inquietudine per l’escalation nel Nord Europa. In uno scenario internazionale dove nell’ultimo anno molte linee rosse sono state superate e ora tra Russia e Occidente resiste una calma apparente turbata da periodiche provocazioni, il Baltico si ritrova prima linea in un confronto che unisce alle manovre militari tradizionali le incognite della cyber-guerra.
Presidente Ilves, crede che la Russia oggi rappresenti una minaccia per la sicurezza europea?
«Prima con il conflitto del 2008 in Georgia, poi con l’annessione della Crimea nel 2014, la Russia ha di fatto demolito le fondamenta dell’ordine post Guerra fredda. Mosca ha deciso di modificare confini fisici e violare l’intero sistema della legislazione internazionale riportando l’Occidente a logiche di spartizione novecentesche. Il caso ucraino richiama l’accordo di Monaco che nel 1938 cedette i Sudeti alla Germania nazista. Tutto questo è una minaccia alla sicurezza. Per di più riceviamo segnali contrastanti, che rendono difficile prevedere gli sviluppi. Da una parte il presidente russo Vladimir Putin dichiara al vostro giornale di non volere un conflitto e di essere pronto a stringere un patto con l’Europa, dall’altra il vicepremier Dimitri Rogozin ci ricorda che “ai carri armati non serve passaporto”».
E l’incertezza può favorire «collisioni» accidentali...
« Deve preoccuparci l’approccio aggressivo della Russia che ha provocato i recenti incidenti tra Baltico, Mare del Nord e Regno Unito. I voli militari senza transponder mettono in serio pericolo gli aerei dell’aviazione civile».
L’Amministrazione americana studia piani per dispiegare sul territorio europeo artiglieria pesante e missili in funzione di contenimento antirusso. Il suo Paese ospiterebbe sistemi missilistici?
«Al momento è uno scenario che escludiamo. Per ora la possibilità non è sul tavolo, non abbiamo ricevuto alcuna richiesta. Certo, la presenza americana nei Paesi baltici è molto limitata ed è comprensibile che il Pentagono pensi di rafforzarla».
L’Europa è in grado di difendersi in un contesto di conflitti asimmetrici?
«Dal punto di vista militare può fare di più. In termini di spese per la Difesa, si prevede che nel 2015 solo l’Estonia rispetterà l’obiettivo del 2% del Pil fissato dalla Nato. Rispetto alle nuove tecnologie è molto indietro. La vicenda Snowden ha innescato una paranoia mondiale sulla privacy. Tuttavia credo che, più della “tutela della privacy”, il grande tema del futuro sarà la protezione dell’“integrità” dei dati. Occorre un cambiamento di prospettiva: l’obiettivo non dev’essere solo proibire a un imprecisato nemico di venire a conoscenza di informazioni riservate, ma impedirgli di modificarle. Nella cyber-guerra la stessa identificazione del “nemico” diventa problematica. Non abbiamo
La Russia ha di fatto demolito le fondamenta dell’ordine post Guerra fredda
ancora gli strumenti per definire le responsabilità degli attacchi cibernetici».
Crede in una possibile evoluzione liberaldemocratica della Russia?
«Non sono pessimista. Fino ad oggi il potere russo ha convogliato tutta l’eredità della tradizione zarista in una coerente costruzione antiliberale sostenuta dalla Chiesa ortodossa. Potremmo definirlo un sistema di contenimento della democrazia, basato sulla contrapposizione tra un “noi” e un “loro”, il meccanismo descritto dal filosofo Carl Schmitt. Non credo però che sia un processo irreversibile. Anche per la Russia esistono alternative all’autoritarismo antidemocratico».
La preoccupano le rivendicazioni delle minoranze in Estonia?
«Non le considero un cavallo di Troia per possibili scissioni, come invece gli ucraini di etnia russa del Donbass, per una ragione, la distanza che corre tra un salario medio di 150 euro e uno di 1.500 per un lavoro in miniera. La qualità della vita è il primo argine ai sentimenti irredentisti».
Ma uno sviluppo liberaldemocratico a Mosca è possibile