Corriere della Sera

Il delitto della donna decapitata Sotto choc i vicini alla finestra

Milano, la vittima ha 51 anni. Arrestato un trans ventenne, la pista della droga

- Cesare Giuzzi

Luciana ha sentito dei colpi sul pavimento, «come se qualcuno stesse sfondando le piastrelle con uno scalpello».

I suoi figli sono stati svegliati dalle urla di aiuto che arrivavano dal secondo piano, scala B, interno 32. «Una lotta furibonda, i mobili che cadevano, lei che gridava di chiamare i carabinier­i. Poi il silenzio. Abbiamo sentito un rumore strano, come se qualcuno stesse trascinand­o qualcosa. Poi abbiamo guardato il soffitto e da sopra sono iniziati quei colpi».

Era il rimbombo delle stoccate del coltello da cucina che trapassava il collo, frantumava le vertebre cervicali e si conficcava nel pavimento. Carlos Julio Torres Velesaca ha continuato a sferrare coltellate fino a quando la testa si è staccata dal resto del corpo. Poi l’ha presa e l’ha lanciata da una finestra. Sul cortile di cemento del complesso popolare di via Giovanni Antonio Amadeo 33, tra il quartiere di Città Studi e l’Ortica, ci sono le gocce di sangue lasciate dalla testa che rotolava nell’aria.

È stata la prima immagine che si sono trovati davanti i due carabinier­i che domenica notte all’1.45 sono arrivati dopo la chiamata di Luciana e di un altro vicino di casa che dal suo appartamen­to al quinto piano del civico 35 aveva visto due donne litigare furiosamen­te nel palazzo di fronte. Una era stesa sul pavimento, l’altra la prendeva a coltellate: «Vedevo distintame­nte che affondava la lama e poi la trascinava per lacerare il corpo». La sua telefonata al 112 è il racconto in diretta dell’omicidio. Per arrestare Torres Velesaca, transessua­le ecuadorian­o, 21 anni il prossimo novembre, i carabinier­i hanno dovuto abbattere una porta blindata. Lui s’è barricato in casa, ha sfasciato tutto. Lo hanno bloccato e sedato. Ha urlato frasi senza senso. Ha detto di avere avuto paura. Di essersi «chiuso nel bagno». Ora è nel carcere di San Vittore accusato dal pm Elio Ramondini di omicidio volontario aggravato.

Antonietta Gisonna, 51 anni, napoletana d’origine, si faceva chiamare Antonella. Da tutti, dai vicini che l’avevano vista arrivare in quel piccolo appartamen­to meno di tre anni fa, così come dagli uomini che frequentav­a. «Li conosceva via chat, selezionav­a i clienti. Non era certamente una donna debole. Era gentile, parlava con tutti», racconta un amico. Alcuni vicini dicono di non aver mai notato il via vai dei clienti. Antonella si vedeva soprattutt­o in cortile con la cagnolina Milly, meticcio con il pelo maculato grigio e nero. Raccontava che in realtà quel cane era di una delle due figlie, rinchiusa nel carcere di Opera e condannata a più di vent’anni per storie di droga.

Anche Antonella aveva avuto problemi con la droga. E proprio in questo contesto, oltre che nella possibilit­à che la donna «affittasse» l’appartamen­to al transessua­le, i carabinier­i guidati da Biagio Storniolo e Alessio Carparelli, cercano il movente del delitto. La vittima era stata denunciata nel 2013 in un’indagine nella quale era stato arrestato il suo convivente, un magrebino, con un chilo e mezzo di hashish.

All’epoca Antonella Gisonna viveva dall’altra parte della città, vicino a via Cilea. Il sospetto è che la donna abbia mantenuto legami con gli ambienti dello spaccio. In casa c’erano tracce di coca, consumata su uno specchio. Il 20enne arrestato non viveva con lei. Sabato i vicini di casa l’hanno visto entrare insieme con Antonella nell’appartamen­to poche ore prima del delitto. Poi soltanto la furia dell’assassino.

I testimoni «Una lite furibonda, sembrava che crollasse il pavimento. Poi ho visto la lama sul collo»

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Tragedia Il palazzo milanese dove, in un appartamen­to al secondo piano, l’omicida ha ucciso a coltellate Antonietta Gisonna, l’ha decapitata e poi ha lanciato la sua testa nel cortile

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