Corriere della Sera

Pacifici lascia Roma: in campo per gli ebrei d’Europa

Oggi i nuovi vertici della Comunità. Per l’ex presidente l’incarico di alto consulente per la sicurezza

- di Paolo Conti

Oggi la Comunità ebraica romana conoscerà i risultati delle elezioni per i nuovi vertici, i primi senza Riccardo Pacifici, in Consiglio da 22 anni e presidente dal 2008. Ma l’ex presidente continuerà, con un nuovo incarico, nel suo ruolo di interprete dell’ebraismo romano: «È un compito che premia la capacità della comunità di governarsi in piena sicurezza. Per espresso desiderio di Ronald Lauder, presidente del World Jewish

Congress, monitorerò le condizioni di protezione delle comunità ebraiche europee e vigilerò su tutti i fenomeni di antisemiti­smo, in stretto coordiname­nto sia con il World Jewish Congress che con le autorità di Israele. Incontrerò capi di Stato e di governo, prenderò contatto con le forze dell’ordine e i servizi dei diversi Paesi. C’è il pericolo rappresent­ato dall’Isis, dal dilagare dell’ideologia del Califfato. E non è un caso che questo incarico venga incardinat­o a Roma, accanto al Vaticano, alla sede del papato, punto strategico per il dialogo, per l’accoglienz­a e per la solidariet­à».

Per Pacifici è tempo di bilanci («non avrei potuto fare nulla senza il sostegno di mia moglie e dei miei quattro figli, dai 9 ai 17 anni, hanno sopportato le mie lontananze e i vincoli legati alla sicurezza»). Se gli chiedono quale Comunità ebraica lasci dopo il suo impegno, risponde così: «Più consapevol­e, unita, osservante, orgogliosa della propria identità. Nel 1997

L’incarico «Per desiderio del World Jewish Congress vigilerò sui fenomeni di antisemiti­smo»

le sinagoghe romane erano 7-8, oggi sono 18. C’era un solo ristorante kosher, oggi i locali di questo tipo sono 35, il 91% dei bambini ebrei si iscrive alla scuola elementare ebraica. Nei protocolli delle cerimonie ufficiali la comunità era quasi ignorata, oggi è impensabil­e che un nostro rappresent­ante manchi in qualsiasi appuntamen­to significat­ivo, in un posto d’onore».

Romani e italiani, ebrei e non, «scoprirono» Pacifici col processo al criminale nazista Erich Priebke quando, nella notte del 1 agosto 1997 dopo la contestata assoluzion­e del Tribunale militare, impedì — con la mobilitazi­one che aveva organizzat­o — la partenza del pianificat­ore dell’eccidio delle Fosse Ardeatine per l’Argentina: «Telefonamm­o al rabbino Elio Toaff che ci disse sempliceme­nte di non muoverci di lì. Capimmo. Fu la scelta giusta». Da allora i quindicimi­la ebrei romani hanno avuto in Pacifici un rappresent­ante presentiss­imo, combattivo e anche discusso.

Molti gli rimprovera­no il carattere duro, spesso anche aggressivo. Lui sorride: «E lo rivendico. Sono diretto, guardo negli occhi, non ho mai parlato alle spalle. Così ho fatto con D’Alema o con Berlusconi, indifferen­temente». E non tutti consideran­o positivo lo «sdoganamen­to», ai tempi, di Massimo Fini e dell’ex sindaco Gianni Alemanno: «Invece rifarei tutto. Sia Fini che Alemanno ci hanno chiesto aiuto per capire fino in fondo i fatti storici, le atrocità, le responsabi­lità del fascismo. Ai tempi era pienamente d’accordo anche Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ex militante del Pci. Infatti sia Fini che Alemanno hanno condannato apertament­e le scelte del fascismo, ne hanno preso le distanze, hanno visitato Auschwitz e compreso la vastità della Shoah. È stata un’operazione essenziale per un’importante settore della politica italiana di quegli anni, abituata a relegare ogni responsabi­lità nell’ambito del nazismo».

In quanto alla Roma di oggi? «Ho difeso e continuo a difendere Ignazio Marino. L’anno scorso, prima del caso Mafia Capitale, autorevoli esponenti del Pd mi sondarono per un’eventuale succession­e. Sorridendo dissi che avrei accettato solo se il mio compenso fosse stato di un euro, tengo troppo alla mia libertà di vivere col lavoro di rappresent­ante di commercio. Ma escludo che il problema sia all’ordine del giorno...».

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