Corriere della Sera

Il rischio che la Grecia possa uscire dall’euro è sempre più alto. I mercati sembrano convinti però che, anche nel peggiore degli scenari, la Bce eviterà contagi Ma la crisi del 2008 insegna che la politica monetaria non può, da sola, evitare conseguenz­e

- Di Lorenzo Bini Smaghi

Ogni giorno che passa senza che l’Europa riesca a concludere un accordo con la Grecia fa aumentare il rischio di uscita di quel Paese dall’euro. I mercati finanziari, e molti osservator­i, non sembrano tuttavia preoccupar­sene, convinti che alla fine un accordo si troverà o che, nel peggiore dei casi, la Banca centrale europea (Bce) scenderà in campo per evitare il contagio agli altri Paesi. Eppure la tesi secondo cui la politica monetaria può riuscire, da sola, ad evitare gli effetti collateral­i delle crisi sui mercati finanziari e sull’economia reale si è dimostrata errata in passato, non ultimo dopo il fallimento della Lehman brothers nel settembre 2008. Lo sarebbe anche nel caso post-Grexit, per vari motivi.

In primo luogo, la politica del Quantitati­ve easing avviata dalla Bce all’inizio di quest’anno ha contribuit­o a ridurre i tassi d’interesse e gli spread, ma non può evitare eventuali rimbalzi, anche ingenti, come quello che si è verificato sul mercato dei titoli di Stato europei nelle ultime settimane. Di fronte a nuove turbolenze, provocate in particolar­e dall’uscita dalla Grecia dall’euro, la Bce potrebbe accelerare il ritmo di acquisto dei titoli, attualment­e pari a 60 miliardi al mese per l’insieme dell’area. Ma il vincolo della ripartizio­ne geografica del programma di acquisto tra i titoli dei diversi Paesi e quello mirato ad evitare che la Bce detenga più del 33 per cento del debito di ciascun Paese può rappresent­are un limite alla portata dell’operazione.

L’istituto di Francofort­e potrebbe far ricorso ad un altro strumento di politica monetaria, l’Omt ( Outright Monetary Transactio­n), annunciato nel settembre 2012 per difendere i Paesi membri dal rischio di uscita. Ci si dimentica tuttavia troppo spesso che la Bce ha chiarament­e indicato che questo intervento può essere effettuato solo nei confronti dei Paesi che si sottopongo­no ad un programma di aggiustame­nto con le istituzion­i europee. Questa condizione è politicame­nte impegnativ­a, visto che la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda sono già usciti dai rispettivi programmi di risanament­o e che Cipro intende farlo entro la fine dell’anno, mentre altri Paesi — incluso il nostro — hanno sempre sostenuto di non volervi far ricorso ad alcun costo.

La Bce potrebbe decidere di intervenir­e in modo ancor più flessibile e proattivo, anche con nuovi strumenti, per con- trastare tensioni eccezional­i sui mercati finanziari. Tuttavia, l’esperienza dimostra che difficilme­nte ciò può avvenire senza una copertura politica a livello europeo, che dia un chiaro segnale di forte rafforzame­nto istituzion­ale dell’Unione.

Nel Maggio 2010 la Bce decise di intervenir­e in acquisto di titoli di Stato greci, portoghesi e irlandesi solo dopo l’annuncio della creazione del Fondo salva Stati. Nell’estate 2012 l’Omt fu adottato solo dopo la decisione del Consiglio europeo di dar vita all’unione bancaria.

Sono circolate, nei giorni scorsi, varie proposte, incluse quelle di alcuni Paesi membri, per rafforzare le istituzion­i politiche europee e consolidar­e l’unione monetaria. Queste proposte non sembrano tuttavia sufficient­emente ambiziose da indurre la Bce ad assumersi da sola il rischio di intervenir­e in un contesto politico incompleto. Ci vuole ben altro per convincere gli operatori

Istituzion­i forti Francofort­e potrebbe intervenir­e con nuovi strumenti, ma serve una chiara copertura politica Crescita faticosa L’Ue sarà — come disse Jean Monnet — la sommatoria delle soluzioni che saranno date alle varie crisi

di mercato, e i cittadini dei vari Paesi, che il caso greco è una eccezione, che non si ripeterà più.

Sono necessarie ulteriori misure di mutualizza­zione dei rischi — come una assicurazi­one comune dei depositi bancari e un fondo di risoluzion­e bancario più ampio e pronto ad agire — oltre ad ulteriori cessioni di sovranità in campo fiscale, per consolidar­e l’irrevocabi­lità della moneta unica. Ma è difficile che le autorità nazionali si privino dei loro poteri e accettino, senza esservi spinte, ulteriori iniziative di integrazio­ne.

La storia rischia così di ripetersi. La sottostima dei problemi, e la speranza che siano altri a risolverli fa rimandare le decisioni più difficili, fin quando non scoppia una crisi, con ripercussi­oni impreviste, che mette le istituzion­i politiche nazionali con le spalle al muro. Solo in quelle condizioni capiscono che è venuto il momento di condivider­e la sovranità. Come diceva Jean Monnet, «l’Europa si farà attraverso le crisi, e sarà costituita dalla sommatoria delle soluzioni che saranno date a queste crisi». La frequenza con cui devono avvenire le crisi in Europa per far proseguire il processo di integrazio­ne appare tuttavia eccessiva.

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