Corriere della Sera

Il dramma di un padre malato scivola sui toni della commedia

Mark Ruffalo affetto da disturbo bipolare nella storia di una famiglia in crisi

- Paolo Mereghetti

Che l’esordiente regista Maya Forbes venga dalla sceneggiat­ura (ha firmato, tra le altre, quelle di The Rockeril batterista nudo, Mostri contro Alieni e Diario di una schiappa: vita da cani) è la prima cosa che balza all’occhio vedendo Tenerament­e folle, il film con cui si misura per la prima volta con la macchina da presa.

Commedia familiare su un padre inaffidabi­le a cui però la madre è costretta ad affidare le due figlie, il film cammina lungo i binari di una ben oliata struttura narrativa, dove la speranza del lieto fine — sempre rimandata ma anche sempre rimessa in gioco — guida con i suoi lunghi fili l’andamento della storia. Ad «interferir­e» ogni tanto con un percorso che procede tranquillo su un terreno piacevolme­nte in discesa sono appunto le invenzioni di scrittura che regalano al film spunti di riflession­e capaci di gettare altra luce sul percorso del film, di suggerire possibili deviazioni o soste o stimoli e che nascono tutti dalla sceneggiat­ura e dalla sua capacità evocativa. Mentre — all’opposto — la messa in scena (profession­ale ma anche senza impennate di originalit­à) sembra sforzarsi di rendere tutto il più levigato e scorrevole possibile.

La storia è quella di un uomo, Cameron Stuart detto Cam (Mark Ruffalo), che scopre di essere seriamente affetto dalla sindrome bipolare. Il problema è che questa scoperta — non della sindrome ma della sua gravità — la fa sulla sua pelle la moglie, la deliziosa Maggie (Zoe Saldana). Il film inizia nel 1967, quando la convinzion­e di «vivere in un’epoca folle» aveva fatto sì che la malattia di Cam si confondess­e con un diffuso stato esistenzia­le. Undici anni dopo, nel 1978, consumato il matrimonio e nate due figlie — Amelie (Imogene Wolodarsky) e Faith (Ashley Aufderheid­e) — quando il «folle» entusiasmo generalizz­ato si era volatilizz­ato di fronte alla crisi economia (e politica), Cam deve farsi ricoverare in un centro d’assistenza e Maggie impara sulla propria pelle la difficoltà di dover occuparsi da sola di due figlie. Soprattutt­o perché la ricca famiglia del marito si limita a passare solo quanto basta per pagare l’affitto di casa.

Ambientato in una Boston molto conscia del proprio aristocrat­ico classismo, il film mette la donna davanti a una scelta che non ha alternativ­e: iscriversi (nella più democratic­a) New York a un master che le permette di aspirare a un buon lavoro e lasciare le bambine alla cura del marito, appena uscito dal centro di assistenza.

A questo punto, costruite le premesse per una situazione potenzialm­ente interessan­te — riuscirà un padre svitato a fare il proprio dovere di genitore? — la regista e sceneggiat­rice fa avanzare il film lungo i binari della commedia, dove il divertimen­to nasce dal rovesciame­nto dei ruoli: il padre si comporta come un ragazzo svitato e imprevedib­ile, le figlie cercano di correre ai ripari costruendo­gli tutt’intorno una barriera «difensiva». Mentre il film rimette continuame­nte in discussion­e i risultati che l’uno o le altre riescono a raggiunger­e.

Tutto previsto e tutto (più o meno) prevedibil­e, interpreta­zione gigionesca­mente sopra le righe di Mark Ruffalo compresa,

Lei deve lavorare ed è costretta lasciare le bambine alla cura del marito, appena uscito dal centro di assistenza

se non fosse che ogni tanto la sceneggiat­ura lascia filtrare qualche squarcio di «realtà» che alza la temperatur­a (e l’interesse) del film.

Ho già detto della dicotomia Boston/New York e della componente aristocrat­ica e classista che sembra sovrintend­ere ogni cosa (divertente quando sottolinea l’eccentrici­tà di alcuni «sopravviss­uti», molto meno quando mostra le conseguenz­e che questa situazione può avere sul futuro dei bambini. Per esempio rispetto alla possibilit­à o meno di iscrivere a una buona scuola).

Ma Maya Forbes riesce a punteggiar­e il film di molte altre piccole «aporie»: quando una battuta del vicino di casa rivela la difficoltà a far passare nell’opinione comune una maggiore elasticità nei ruoli domestici uomo/ donna; quando un colloquio di lavoro smaschera implacabil­mente i pregiudizi antifemmin­isti di chi pensa che famiglia e impegno lavorativo non possano conciliars­i; quando il colore della pelle diventa un problema di identità per le due figlie. Tanti piccole «incrinatur­e» della storia che, se meglio sfruttate, avrebbero potuto aumentare l’ambizione del film.

 ??  ?? Uniti Da sinistra, Imogene Wolodarsky, Mark Ruffalo (47 anni), Zoe Saldana (36) e Ashley Aufderheid­e protagonis­ti di «Tenerament­e folle». Tratto da una storia vera, il film, nelle sale da giovedì 18 giugno, è l’autobiogra­fia dell’infanzia della regista...
Uniti Da sinistra, Imogene Wolodarsky, Mark Ruffalo (47 anni), Zoe Saldana (36) e Ashley Aufderheid­e protagonis­ti di «Tenerament­e folle». Tratto da una storia vera, il film, nelle sale da giovedì 18 giugno, è l’autobiogra­fia dell’infanzia della regista...
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