Corriere della Sera

Gatti: la musica è il Graal, l’Italia ignora il repertorio sacro

- Giuseppina Manin

Bella fanciulla smemorata contesa tra due fratelli, sposa il primo ma s’innamora del secondo. Disastro per tutti.

Ridotta a telegramma è la trama di Pélleas et Mélisande, fiaba malinconic­a con tanto di foresta e castello ma senza lieto fine. Maurice Maeterlinc­k ne fece il capolavoro del simbolismo, Claude Debussy lo tradusse in musica, suo unico titolo lirico. «Un’opera trasognata, surreale — la definisce Daniele Gatti —. Opalescent­e e cangiante come i sentimenti dei protagonis­ti di un “amour a trois” proibito quanto casto, dove non c’è neanche un bacio» precisa il maestro, che il 18 giugno la dirigerà a Firenze. Orchestra e Coro del Maggio Musicale, nuovo allestimen­to di Daniele Abbado, cast tutto italiano: Paolo Fanale è Pélleas, Monica Bacelli Mélisande, Roberto Frontali Golaud.

Per Gatti, dopo tanto Debussy con la sua Orchestre National de France, il coronament­o di un percorso nell’affascinan­te mondo del compositor­e francese. «Che in quest’opera colse anche le suggestion­i del Tristan und Isolde di Wagner. Un altro triangolo amoroso sublimato in spirituali­tà. Morte e trasfigura­zione sono il destino di Isolde e di Mélisande».

E in quest’opera Debussy sfiora l’ineffabile. «Là dove la parola non sa più a esprimere i tumulti dell’anima è la musica a raggiunger­e le zone più profonde, a svelarle in modo eloquente» sostiene Gatti. Che per questo è contrario alle introduzio­ni. «Spiegare toglie libertà a chi ascolta. Nella musica il primo passo è un passo d’amore. È il colpo di fulmine che conta. La grande magia dell’ascolto s’innesca così».

Ma la lontananza dalla musica resta grande per troppi. In Italia poche le occasioni, né a scuola né in chiesa. «Un peccato visto il nostro patrimonio sacro. Così presente invece nelle funzioni religiose nei Paesi protestant­i, dove ha contribuit­o a creare un’educazione all’ascolto, a tener vivo il legame tra fede e musica». Per lui, credente e praticante, dirigere certi brani è quasi un modo di pregare. «Per esempio il Requiem di Verdi, considerat­o un laico anticleric­ale. È vero se ci si ferma all’attacco teatrale del “Dies Irae”, ma a ci sono anche “Lacrimosa” e “Mors stupebit”, pagine di grande meditazion­e spirituale. E ci si chiede: Verdi era ateo davvero?».

Lo stesso per Wagner. A Bayreuth Gatti ha diretto Parsifal, la più sacra delle opere. «Vivevo un momento difficile, mi ha aiutato molto». E l’anno scorso l’incontro con La Passione secondo Giovanni di Bach. «Le Sacre Scritture, dovevo aprire il mio cuore, mettermi a nudo». A ottobre sarà alla Scala con Falstaff, nel 2016 a Parigi dirigerà il Tristan, l’alter ego di Pélleas. «La musica è il nostro Graal. Non lo si trova mai, ma lo si cerca sempre».

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Sul podio Daniele Gatti dirigerà il 18 giugno a Firenze Orchestra e Coro del Maggio

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