Corriere della Sera

«L’alzai al cielo pochi secondi Una gioia pari al Triplete»

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Rifiniture Un dipendente della Bertoni al lavoro. Ogni esemplare della Coppa del Mondo richiede un mese di lavorazion­e da parte di 5-6 persone. La vendita di copie è assolutame­nte vietata. (foto Studio Buzzi) sul campo durante la festa. Tutti la volevano anche solo per un momento, per sollevarla al cielo». Non eravamo i favoriti. «Per niente. Non eravamo neppure in grande condizione. L’ intenzione era fare bella figura nelle prime tre partite. All’inizio abbiamo giocato male, poi siamo cresciuti. La svolta, è chiaro, è stata con il Brasile. Quella vittoria storica ha cambiato tutto, soprattutt­o le nostre convinzion­i. Quando in semifinale abbiamo ritrovato la Polonia, non eravamo più quelli dell’esordio. A quel punto ci credevamo per davvero».

Cosa ha pensato quando, nella seconda fase, l’Italia è stata accoppiata con Argentina e Brasile?

«Ho chiamato mia moglie e con un sorriso le ho detto: prepara le valigie che torniamo presto e andiamo in vacanza».

E invece avete riportato indietro la coppa sull’aereo del presidente Pertini. Quella sera come ha festeggiat­o?

«Con Gaetano Scirea e Dino Zoff, non proprio dei chiacchier­oni. Diciamo una festa silenziosa. Non riuscivamo a capire che cosa avevamo fatto».

Quella squadra però era un gruppo formidabil­e...

La gioia in mano 11 luglio 1982: l’Italia ha vinto i Mondiali di Spagna, gli azzurri esultano al Bernabeu

«Uomini di ferro prima che giocatori. Ricordo le notti insonni con Tardelli e Conti e ricordo quel gentiluomo di Bearzot. Senza i mezzi di adesso, riusciva a preparare alla perfezione la partita e proteggeva sempre i suoi giocatori. Un grande allenatore».

La vita da quel giorno non è stata più la stessa...

« Diventare campioni del mondo è un traguardo, ma il momento che cambia la vita è avere la possibilit­à di rappresent­are il tuo Paese, quando sei in campo e ascolti l’Inno. Ancora oggi, quando succede, a me vengono i brividi».

Lei di trofei ne ha vinti tanti, qualcuno paragonabi­le alla coppa del mondo dell’82?

«Solo il triplete del 2010, da dirigente dell’Inter e con Mourinho allenatore. La finale di Champions, con il Bayern Monaco, si è giocata a Madrid e mi ha riportato indietro nel tempo. Come se avessi chiuso un cerchio».

Ma nel calcio-business c’è spazio per il simbolo della vittoria. Ha un senso ancora alzare la coppa?

«I soldi mandano avanti la macchina. Ma la passione la trasmetton­o i giocatori, quelli attaccati alla maglia. Ci sono stati e ci saranno sempre: guardate Buffon, un campione straordina­rio: ha vinto tutto eppure ogni volta viene in Nazionale con lo spirito e l’umiltà del debuttante. Il calcio è di quelli come Gigi».

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