Corriere della Sera

Il passato che serve alla cultura del pallone

- Di Fabio Monti

La «Fabbrica delle Coppe», il museo dentro al museo (quello di Mondo Milan), è l’ultimo segnale di un avviciname­nto delle passioni calcistich­e italiane a un sentimento europeo. Per decenni, l’attenzione al pallone che rotola, all’arbitro che sbaglia e al «nemico» da insultare ha sempre vinto per «distacco» sulla storia, sul culto della memoria, sullo studio di quello che è stato per capire meglio quello che è e che sarà. I musei del Real, del Barcellona, del Manchester United o di Wembley, sembravano esempi troppo lontani dai gusti italiani, che al massimo si fermavano alle mostre legate al ciclismo (il museo del Ghisallo), nel nome di Coppi e Bartali, di Binda e Girardengo. Con il passare degli anni, le stanze, le vetrine, i cimeli sono diventati luoghi «benedetti» anche dai calciofili, che hanno imparato ad apprezzare il senso delle scarpe di Meazza, del pallone di cuoio dell’Italia campione del mondo negli anni Trenta, della maglia granata di Valentino Mazzola. È stato il museo di San Siro (1996), legato ai trofei e alla storia di Inter e Milan, ad aver fatto da apripista ad una tendenza, che si è consolidat­a nel 2000 con l’inaugurazi­one del museo del calcio a Coverciano. Lo Juventus Museum, accanto allo Stadium, aperto il 16 maggio 2012, continua ad incontrare uno straordina­rio favore popolare, come quelli della Fiorentina, del Grande Torino, del Genoa e del Padova. Così che l’8 giugno 2011 è nata la Federazion­e dei Musei del calcio. E l’Assocalcia­tori, nell’agosto 2014, ha inaugurato «Football Heroes», mostra itinerante, partita dal teatro Olimpico di Vicenza e ora a Milano, per illustrare cento anni di calcio. Sono tutti modi per ricordare che dietro ai dribbling e ai gol, ci sono storie, leggende, documenti, testimonia­nze, costumi di un Paese che cambia.

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