Corriere della Sera

LA DIFFICILE SCELTA CURDA FRA IL SOGNO E LA REALTÀ

- Nerio Fornasier fornasier.nerio@yahoo.fr

La parte orientale dell’Anatolia ha votato massicciam­ente la propria identità curda. Se per ipotesi questa regione pretendess­e l’autonomia, l’unione con il Kurdistan iracheno e iraniano o l’indipenden­za, che cosa succedereb­be? ell’ultimo decennio i curdi hanno vissuto e prosperato grazie agli errori altrui. La guerra americana del 2003 ha inflitto all’unità dello Stato iracheno un colpo da cui Bagdad non riesce a risollevar­si; ma ha creato, di fatto, un Kurdistan iracheno che ha consolidat­o la propria autonomia e tratto grandi vantaggi, anche economici, dalla fragilità del potere centrale. La guerra civile siriana ha devastato il Paese e costretto alla fuga poco meno di 4 milioni di persone. Ma ha conferito al piccolo Kurdistan siriano un peso strategico di cui si è servito con destrezza. In Siria e in Iraq l’Isis ha riscosso grandi successi ed è una minaccia per l’intera regione; ma ha fatto dei curdi, in entrambi i Paesi, i più efficaci difensori delle popolazion­i sciite, dei cristiani e della minoranza yazida. Come ha scritto Roberto Tottoli sul Corriere del 9 giugno, «mai come ora, i curdi godono delle simpatie internazio­nali. Paiono improvvisa­mente un fattore di stabilità in una regione squassata da guerre civili e divisioni feroci».

Quale uso faranno dei loro successi? Cederanno alla tentazione di combattere una nuova battaglia per la nascita di un Kurdistan iracheno che riunirebbe in un solo Stato i curdi turchi (15,4 milioni), siriani (1,3), iracheni (4,3) e iraniani (6,8)? La risposta potrebbe venire dalle scelte politiche del partito curdo che si è affermato nelle elezioni politiche turche degli scorsi giorni. Il Partito democratic­o del popolo (Hdp) ha superato la soglia del 10%, uno sbarrament­o innalzato per limitare la sua rappresent­anza parlamenta­re, e avrà circa ottanta deputati. Ma il successo è in buona parte dovuto alla campagna elettorale del suo leader, Selahattin Demirtas. Brillante avvocato dei diritti umani, Demirtas è riuscito a raccoglier­e simpatie e consensi in quella parte dell’elettorato che non approva il tradiziona­lismo musulmano del presidente Erdogan, il suo stile sultaneggi­ante, le sue scelte politiche dopo le rivolte arabe, la dura repression­e delle manifestaz­ioni di protesta contro l’urbanizzaz­ione del Gezy Park di Istanbul.

Senza perdere interament­e le sue radici curde, Hdp potrebbe diventare il partito liberal-democratic­o di cui la Turchia ha bisogno. Ma deve accantonar­e, se vuole avere questo ruolo, il sogno di un Kurdistan unificato. Troverebbe sulla sua strada molti elettori di cui ha conquistat­o il voto, la ferma opposizion­e del governo turco (chiunque ne abbia la guida) e quella non meno ferma dell’Iran, per non parlare delle perplessit­à delle maggiori potenze. Questo non significa che debba dimenticar­e la causa curda. Ma quanto più saprà rinunciare a obiettivi difficilme­nte raggiungib­ili, tanto meglio potrà lavorare per l’autonomia dei curdi che vivono negli altri Paesi della regione.

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