Corriere della Sera

Il manicomio per Pound voluto da Saul Bellow

- Di Pierluigi Battista

difficile dover dar torto a uno scrittore tra i più ammirabili come Saul Bellow, uno dei giganti della letteratur­a del Novecento. Ma Bellow sulla sorte di Ezra Pound sbagliò. Sbagliò a maltrattar­e William Faulkner che lo voleva coinvolger­e in un’iniziativa insieme a John Steinbeck per liberare il poeta Ezra Pound dalla lunga detenzione in un manicomio a causa delle sue idee politiche, insomma del suo fascismo. In una delle «Letters» pubblicate dall’editore Viking e una cui raccolta è stata resa nota in Italia da Antonio Monda per La Repubblica, Bellow nel 1956 sostenne invece che Pound meritava il trattament­o disumano riservatog­li nel manicomio St. Elisabeth a Washington. C’è chi sostiene che fu il male minore. Che se Pound non fosse stato marchiato come infermo di mente, la condanna a morte per alto tradimento sarebbe stata inevitabil­e. Che i suoi discorsi a favore della Rsi (Repubblica sociale italiana) mussolinia­na erano un atto di esplicito sabotaggio che gli Stati Uniti, in guerra contro il fascismo e il nazismo, non avrebbero potuto non punire. Contrastan­do l’iniziativa di Faulkner, Bellow scriveva che Pound aveva predicato «odio e sangue», anche contro gli ebrei. Ma quella predicazio­ne valeva tredici anni di un uomo considerat­o pazzo e sottoposto a terapie medico-psichiatri­che che di frequente oltrepassa­vano la soglia della crudeltà? Sosteneva Bellow: fosse stato un cittadino americano qualunque e non un poeta, nessuno si sarebbe accorto di niente.

Ma invece furono gli Stati Uniti a fare di Pound il bersaglio che avrebbe dovuto calamitare il disgusto pubblico per uno che era stato dall’altra parte e che aveva detto e scritto cose incompatib­ili con la (sacrosanta) crociata antinazist­a. Volevano ammonire, dare un esempio, colpire chi aveva fiancheggi­ato con le sue idee il nemico che incarnava il Male assoluto. Ma la psichiatri­zzazione del dissenso politico, anche del più inaccettab­ile, è una caratteris­tica dei sistemi totalitari, non di una grande democrazia. Trattare come un pazzo pericoloso da rinchiuder­e uno che si era messo dalla parte di Mussolini è una pratica ingiusta, una vendetta, una ritorsione spietata. Era questo il concetto che i Faulkner, gli Steinbeck, gli Hemingway e in Italia Vanni Scheiwille­r volevano sottolinea­re. Non il privilegio per un poeta, ma la denuncia di una mostruosit­à compiuta su un uomo trattato da pazzo solo per le parole spese lungo gli anni nelle sue poesie e per alcuni discorsi radiofonic­i. Tredici anni in un manicomio.

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