Nostalgia per «Quelli della notte», la jam-session della parola
Gran serata nostalgica a «Che tempo che fa». Fabio Fazio ha voluto rendere omaggio ai trent’anni di «Quelli della notte» invitando Renzo Arbore e altri personaggi (Rai3, sabato, 20.10). Rivedere frammenti di una trasmissione memorabile significa capire cos’è stata la nostra tv (maestra dell’intrattenimento). L’originalità della proposta, infatti, consisteva nella contaminazione tra cliché forti e improvvisazione, fra moduli diversi e una vivida tradizione della rivista. «Quelli della notte» è stato un programma epocale perché ha chiuso alla grande una fase storica: quella della tv fatta da professionisti (anche se fingevano di essere dilettanti).
Vincitori e vinti
CHE FUORI TEMPO CHE... Renzo Arbore Serata speciale di Fabio Fazio su Rai3: 2.130.000 spettatori, 11,2% di share IL CICLONE Leonardo Pieraccioni Su Canale 5 torna il sempreverde di Pieraccioni: per 1.930.000 spettatori, 10% di share Di lì a poco sarebbe dilagata la tv fatta dalla gente comune (talk, reality…).
Il successo del programma, che ha rappresentato un vero e proprio fenomeno tv (capace, come era accaduto trent’anni prima con «Lascia o raddoppia?», di creare attorno a sé una vasta aggregazione mediatica) è da attribuire in gran parte al suo conduttore, dotato di un raro buon gusto, che gli ha permesso di attraversare indenne ogni eccesso kitsch, producendo effetti ironici e caricaturali, generando maschere e tormentoni che sono dilagati fuori dei confini catodici per entrare nel linguaggio comune. Recuperando la tradizione del varietà, Arbore realizzò un prodotto nuovo e originale, frutto di una ibridazione tra i generi e pieno di colpi di scena. Insomma, seppe trasformare il televisore in una scatola a sorpresa.
Era una notte in cui si poteva ancora «cazzeggiare» tra intelligenti banalità e allegri nonsensi: Riccardo Pazzaglia, Nino Frassica, Maurizio Ferrini, Roberto D’Agostino, Massimo Catalano... (Imbarazzanti ricordi personali: su «Quelli della notte» ho scritto sul Patalogo il mio primo saggio sulla tv, cercando di spiegare come il modello delle trasmissioni di Arbore fosse la jam-session della parola, dove preparazione e improvvisazione si intrecciano e si sublimano).