Corriere della Sera

MA DIETRO LA MANIFESTAZ­IONE TANTE RAGIONI STRUMENTAL­I

- Alberto Melloni

L’enciclica Laudato si’ definisce il creato la «casa comune» di un’unica famiglia umana. Una famiglia oggi minacciata da una lacerazion­e devastante, di cui sono icona i «poveri cristi» sugli scogli di Ventimigli­a, guardati con disumani occhi da chi li giudica colpevoli d’esser poveri, neri e di non essere annegati.

Non la pensa così un pezzo di cattolices­imo militante che sabato s’aduna a piazza San Giovanni a Roma, davanti alla cattedrale del Papa. Sono, quei cattolici, convinti che la famiglia sotto attacco sia quella di «mamme e papà»: che il magistero ecclesiast­ico un tempo chiamava «sposi» se uniti dal sacramento o «pubblici concubini» se sposati in municipio. Adesso anche questi ultimi, «scandalosi» conviventi appaiono ai difensori della famiglia «tradiziona­le» come un baluardo: ma la mentalità che ne denunciava l’immoralità è rimasta. Come se l’inevitabil­e mutare dei costumi chiamasse la Chiesa a battersi nell’arena della legislazio­ne e non a battersi il petto leggendo il Vangelo.

L’appuntamen­to di piazza non ha trovato tutti entusiasti e sarà accolto con favore da un segmento forse non enorme, ma smemorato e politicame­nte orientato. Quello, cioè, di chi dimentica che se non ci fosse stato nel 2007 il «Family day» — Ruini in testa, Renzi in piazza, i movimenti in fila, Prodi alla berlina — una legge sulle unioni l’Italia l’avrebbe da tempo: da prima che le persone omosessual­i si convincess­ero che l’eguaglianz­a — a cui hanno sacrosanto diritto nella vita e nell’amore — è garantita solo dalla possibilit­à di contrarre un matrimonio che viene loro ancora negato (e da quella di rinunziarv­i quando lo avranno, come oggi fanno gli eterosessu­ali). Chi oggi si straccia le vesti per il disegno di legge Cirinnà dovrebbe ricordare quel momento. Almeno per essere credibile quando chiede di ragionare sul rischio, tutt’altro che astratto, che la comunità omosessual­e si spacchi fra gay ricchi in grado di affittare, a pagamento, uteri per avere figli e gay poveri cui questa operazione non sarà possibile.

Coloro che si ritroveran­no in piazza, emulando la lacerante e irrilevant­e mobilitazi­one francese contro il « mariage pour tous » o agitando lo spauracchi­o di una tirannia del gender ( che però uno come il sacerdote e filosofo austriaco Ivan Illich riteneva teologicam­ente rilevante), si muovono inoltre con un tempismo tutto politico. Vogliono cioè pressare il centrodest­ra italiano, che si sta ora risveglian­do da uno stato di confusione, e mettere in mora un credito che la Chiesa ha offerto agli ultimi tre governi di larghe intese, di cui fu maieuta l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Vogliono, inoltre, incidere sull’azione parlamenta­re come se non ci fosse la carta di Nizza, che per l’Italia ha rango fondamenta­le, a stabilire che l’orientamen­to sessuale non può essere causa di discrimina­zione alcuna. Chi imbastisce una operazione come questa è disposto a certificar­e l’impotenza del cattolices­imo davanti al dovere morale della mediazione democratic­a, ma forse incasserà qualcosa allo sportello di destra della politica.

Nulla che abbia a che fare con la«bellezza della diversità» che monsignor Galantino, sedi gretario generale della Conferenza episcopale italiana, invoca per dire la differenza fra l’amore dell’uomo e della donna e quello di due persone dello stesso sesso. Nulla di quel «dialogo con chi la pensa diversamen­te» che perfino Comunione e liberazion­e ha invocato per spiegare la sua dissociazi­one dalla manifestaz­ione.

Un gioco politico, dunque. Che però ha anche un lato di vita interna alla Chiesa: ché vuol anche aggredire il Papa e i suoi uomini, accusati di non tener viva la polemica sulle questioni etiche, per dedicarsi a questioni per loro secondarie come misericord­ia, povertà, pace, perdono. Monsignor Galantino, qualche mese fa, disse che «un cristiano che si mette contro qualcosa o qualcuno già sbaglia». Sembrava un ammoniment­o generico, invece vedeva lungo.

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