Corriere della Sera

È terrorismo o guerra? La risposta da trovare

L’algerino Yasmina Khadra: «Io dico di andare a stanarli con le armi in Siria e in Iraq»

- Le interviste a Khadra e Zakaria di S. Montefiori e P. Valentino

Yasmina Khadra, siamo in guerra?

«Certo, una guerra che non combattiam­o con abbastanza coraggio. La soluzione non è indignarsi, condannare o teorizzare. L’Occidente non sa che fare, è nel panico. Troppa paura. Piuttosto serve conquista, ferocia, tenacia. È una guerra, sì, ma non una guerra religiosa o di civiltà come dice il premier Valls».

Nato in Algeria 60 anni fa, Yasmina Khadra vive da 15 a Parigi. È uno scrittore tradotto in tutto il mondo (l’ultimo romanzo Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini è edito in Italia da Sellerio, dopo l’estate uscirà in contempora­nea in 10 Paesi L’ultima notte del raïs, in cui racconta la fine di Gheddafi). Nella sua vita precedente è stato ufficiale dell’esercito algerino, in prima linea durante il «decennio nero» cominciato a fine ‘91. Yasmina Khadra, la guerra contro i terroristi islamici, l’ha già combattuta sul campo.

Perché contesta l’espression­e «guerra di civiltà» usata dal premier francese?

«È una sciocchezz­a, che finisce per legittimar­e dei criminali che non rappresent­ano alcuna civiltà. Io sono musulmano praticante. Dico che quegli assassini fanno proclami sull’islam e le crociate per dare un inesistent­e valore ideologico alle loro azioni, e noi gli andiamo dietro. Invece bisognereb­be riportarli sempre a quel che fanno, non a quel che dicono: la loro verità non è la religione ma il crimine, abominevol­e e industrial­e, massiccio, praticato con in mente l’arricchime­nto, altro che il martirio. La guerra è la fine della diplomazia, della discussion­e. È il momento di agire. In due modi. Agire sul campo, e nel discorso da opporre a questa gente». Agire sul campo? «Imporre subito un governo unitario in Libia, con la minaccia di trascinare i due governi oggi rivali davanti alla giustizia internazio­nale con l’accusa di complicità in terrorismo. È necessario stabilizza­re una regione diventata santuario per tutti i terroristi. Poi, andare a colpire lo Stato islamico in Siria e in Iraq. Intervenir­e militarmen­te, con più mezzi e convinzion­e».

E i terroristi già in Europa? In Francia gli autori di attentati sono sempre noti ai servizi, che però non riescono a fermarli in tempo.

«È la legge, la democrazia, per fortuna. Una dittatura eliminereb­be tutti i sospetti, noi non possiamo. Per questo dobbiamo andare alla fonte».

Gli Stati Uniti non vogliono mandare truppe in Iraq.

«Ma dovrebbero farlo. Hanno commesso l’errore di andare sul terreno nel 2003, tornarci adesso non sarebbe perseverar­e ma anzi riparare gli sbagli commessi. Al mondo servono leader determinat­i».

Lei poco fa diceva anche che occorre «cambiare discorso».

«Finora l’Occidente è stato troppo remissivo, incoraggia i terroristi ad andare sempre più lontano. Lo spazio mediatico è occupato dalle loro atrocità. A quel discorso di morte bisognereb­be opporre i valori della vita, tornare a fare sognare».

Che significa tornare al sogno?

«Quando ci perdiamo ancora nelle distinzion­i tra islam della maggioranz­a e islam oscurantis­ta alimentiam­o un’ambiguità che finisce con il far soffrire tutti i musulmani. Il razzismo di cui tanti sono vittime in Europa nasce anche da questo. L’Occidente dovrebbe essere più fiero dei suoi valori, e separare tra terrorismo e religione. I popoli occidental­i sono un esempio per noi: tolleranti, istruiti, ambiziosi, fraterni, umani. E il terrorismo non è una civiltà né uno tsunami: solo un fenomeno che può essere individuat­o, capito, distrutto».

Il premier francese l’ha definita una guerra di civiltà? Sciocchezz­e Così si legittima un gruppo di criminali che non rappresent­a alcuna civiltà Soldi e martirio «La loro verità non è la religione ma il crimine: vogliono arricchirs­i, altro che il martirio»

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