Corriere della Sera

La marcia dei tunisini: non lasciateci soli

Manifestaz­ioni di cordoglio a Sousse, la località del massacro mentre i turisti continuano a partire Poliziotti su moto da sabbia pattuglian­o la spiaggia. E chi resta assicura: poteva succedere dovunque

- Elisabetta Rosaspina

Insieme. Turisti (quelli rimasti) e abitanti di Sousse, la città costiera tunisina dove 38 villeggian­ti stranieri sono stati falciati venerdì scorso dalle raffiche di kalashniko­v di Seifeddine Rezgui, e altri 36 sono finiti in ospedale, hanno solidarizz­ato e marciato l’altra sera per dimostrare che se il terrorismo ha vinto, innegabilm­ente, una battaglia, non vincerà la guerra.

Come scrive Said Benkraiem nel suo editoriale sul quotidiano di Tunisi, La Presse: «Il popolo tunisino non ha cacciato la dittatura di Ben Ali per benedire quella dei terroristi».

In difesa non solo dell’economia nazionale, ma anche dell’unica rivoluzion­e araba riuscita nella primavera del 2011, sono sfilati uomini e donne in lacrime, bandiere inglesi e tunisine, candele, canzoni. Si piange per chi non c’è più, e per chi resta, nello sconforto: «Sousse non morirà mai». Ma oltre 400 mila posti di lavoro sono a rischio nel Paese; più di un milione, calcolando anche l’indotto.

Eppure quasi nessuno osa chiedere, per favore, agli ospiti di rimanere ancora o, tantomeno, di tornare: chi ha scelto quest’estate la Tunisia per le vacanze aveva già sfidato la minaccia dell’Isis, dopo l’assalto del 18 marzo al museo del Bardo di Tunisi, ancora una volta diretto a colpire i visitatori stranieri, i «peccatori» occidental­i.

«Non lasciateci soli — si sono limitati a chiedere alcuni tunisini attraverso i messaggi veicolati dalle tivù —, non abbandonat­eci o per il nostro Paese sarà la fine».

Da un pullman in partenza, un gruppo di inglesi riesce a sorridere al corteo, allarga le dita in segno di pace e in augurio di vittoria, oppure forma con gli indici e i pollici la sagoma di un cuore.

La Gran Bretagna, con quindici morti, è stata la nazione più provata dal massacro di Sousse, ma chi resta, come John Clarke, lo fa perché «la gente qui è adorabile, lo staff è stato straordina­rio; meritano il nostro sostegno». Kirsty, accanto a lui, assicura ai microfoni della Bbc di non sentirsi più in pericolo qui che altrove: «Sarebbe potuto accadere in qualunque altro posto al mondo».

Poliziotti in moto da spiaggia pattuglian­o la battigia che, tre giorni prima, era in balia di un insospetta­to «lupo solitario». Il governo promette migliaia di agenti in borghese armati a protezione degli alberghi, ricompense a chi dà informazio­ni su eventuali cellule jihadiste e sostegno economico agli operatori turistici: «Anche con zero clienti, non licenziamo nessuno — garantisce il direttore dell’hotel Riu Imperial Marhaba.

Sul sito dell’albergo campeggian­o un nastrino nero e un grazie «per esserci stati vicini in un momento così triste. I nostri cuori sono con le vittime, le loro famiglie, i nostri ospiti e i nostri colleghi in Tunisia».

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Proteste Nel weekend manifestaz­ioni contro il terrorismo a Sousse

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