Parla Salhi: «La testa tagliata? Problemi a casa e sul lavoro» Ma il selfie l’ha inviato all’Isis
Dopo avere decapitato il suo datore di lavoro, e prima di appendere la testa tra due bandiere con la professione di fede islamica, venerdì mattina Yassin Salhi si è fatto un «selfie» con il macabro trofeo e lo ha inviato a un numero canadese che porta in Siria, a «Momo», uno dei suoi migliori amici. «Momo» è Sébastien Younès, partito nel novembre 2014 per la Siria, conosciuto dai servizi segreti francesi e ritenuto combattente nei ranghi dello Stato islamico a Raqqa, uno dei 473 jihadisti francesi sul terreno.
Un quadro un po’ impegnativo per quel che l’assassino ha cercato di far passare come un fatto di cronaca o quasi. Dopo un silenzio durato oltre 24 ore, Yassin Salhi sabato notte ha cominciato finalmente a parlare agli investigatori, sostenendo che il movente della sua azione era personale: sarebbero stati i litigi con il datore di lavoro Hervé Cornara e le difficoltà con la moglie, che aveva minacciato il divorzio, a scatenare l’attacco di venerdì a SaintQuentin-Fallavier, quando Salhi ha ucciso Cornara e poi ha cercato di suicidarsi facendo esplodere lo stabilimento chimico Air Products con i 40 dipendenti al suo interno.
È ragionevole pensare che i due elementi — il movente personale e il terrorismo islamico — non si escludano a vicenda. Gli investigatori parlano di « azione di tipo ibrido » , compiuta da una persona con problemi di tipo professionale e familiare, che allo stesso tempo frequenta gli ambienti salafiti e — stando a quel che dice la moglie — ha compiuto almeno un viaggio in Siria.
Da un lato è poco equipaggiato, colpisce un bersaglio vicino, poco studiato, quasi domestico; dall’altro imita la ferocia dello Stato islamico decapitando la sua vittima, espone due bandiere islamiche e invia la sua foto-trofeo in Siria. Sembra il profilo del perfetto «lupo solitario», l’islamico radicale che si improvvisa terrorista magari senza ordini diretti, ma comunque ispirandosi all’ideologia jihadista.
Il governo francese continua quindi a parlare di atto terroristico. «Non possiamo perdere questa guerra perché è una guerra di civiltà. È la nostra società, i nostri valori che stiamo difendendo», ha detto ieri Manuel Valls. Il premier francese ha fatto ricorso a una formula — «guerra di civiltà» — che i suoi compagni di partito socialista giudicarono scandalosa quando a usarla, nel febbraio scorso, fu Nicolas Sarkozy.