Corriere della Sera

C’È UN’ALTRA STORIA DA RACCONTARE

La crisi greca Sarebbe il caso di collocare il problema ellenico, ventre molle dell’Europa, nello scenario instabile del Mediterran­eo, dell’immigrazio­ne incontroll­ata, della lotta al terrorismo integralis­ta

- Di Massimo Nava

Certo, i debiti si pagano. Certo, i greci ballano sull’orlo del precipizio. Certo, è disperante che le sorti di un Paese siano appese all’estremismo ideologico di un dandy marxista come Varoufakis. Detto questo, con il fiato sospeso su ciò che accadrà nelle prossime ore, occorre prendere in consideraz­ione anche i possibili danni collateral­i della Grexit, sul piano politico e strategico, non solo monetario. Stiamo forse per dovere raccontare un’altra storia, che colloca il problema greco, il ventre molle dell’Europa, nello scenario instabile del Mediterran­eo, dell’immigrazio­ne incontroll­ata, della lotta al terrorismo, di una crisi economica continenta­le non ancora superata. Fenomeni spesso collegabil­i, che necessitan­o di risposte unitarie, coraggiose e forse persino militari, ma come darle se prevalgono le divisioni fra i leader europei, le esigenze delle opinioni pubbliche interne, le regole contabili, il vuoto di visioni lungimiran­ti, gli interessi nazionali e le loro varianti elettorali?

Occorre ricordare che la Grecia, oltre che dell’Europa, fa parte della Nato: quali potrebbero essere le scelte future di un Paese allo sbando, che chiederà aiuto dovunque possa ottenerlo? In cambio di quali contropart­ite? Fino a che punto potremo contare sul secondo membro della Nato sul fronte orientale — la Turchia di Erdogan — che gioca una partita ambigua e pericolosa nel rapporto con l’islamismo? È sensato chiudere le porte alla Grecia dopo averle chiuse alla Turchia?

Ci si preoccupa dell’effetto contagio sui mercati, ma è più preoccupan­te l’effetto contagio che l’uscita della Grecia potrebbe avere su movimenti populisti, ovunque in crescita sull’onda del rifiuto di questa Europa e delle sue élite.

Se questi sono i rischi, oltre al fatto ovvio che non conviene mai, nemmeno nella vita di tutti i giorni, fare morire il debitore, alcune domande andrebbero poste alla Germania, da cui dipendono in larga misura il destino della Grecia e la politica europea.

Non si tratta di amplificar­e il comprensib­ile risentimen­to dei greci o rispolvera­re la questione delle colpe e dei debiti di guerra (peraltro non pagati) ma di non ripetere errori di valutazion­e che hanno condiziona­to la storia d’Europa degli ultimi vent’anni.

All’indomani della riunificaz­ione della Germania, l’allora ministro degli esteri Hans Dietrich Genscher, forzò in modo unilateral­e il riconoscim­ento dell’indipenden­za della Croazia, una decisione che ebbe un effetto domino sui Balcani con conseguenz­e ben note: la guerra, i massacri, fino all’indipenden­za del Kosovo, presuppost­o e alibi anni dopo del referendum indipenden­tista in Crimea.

Nel decennio scorso, il presidente francese Nicolas Sarkozy (peraltro, principale responsabi­le del disastro in Libia) lanciò il progetto di un’Unione del Mediterran­eo, ponte con l’Europa per contribuir­e allo sviluppo economico e democratic­o del Maghreb. Un’idea lungimiran­te, di cui oggi si comprende la dimensione e la necessità, ma di fatto naufragata per indifferen­za dell’Europa e diffidenza di Angela Merkel.

Di fronte alla crisi greca, sono i no tedeschi (della Merkel, della Bundesbank, del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble) i principali ostacoli al salvataggi­o in nome del rigore finanziari­o.

Se si guarda invece alla crisi in Crimea e in Ucraina, è la Germania la più determinat­a nell’imporre sanzioni alla Russia. Alle conseguenz­e delle sanzioni sulle imprese europee si somma la difficoltà di costruire un’indispensa­bile collaboraz­ione con Mosca nella lotta al terrorismo.

Nelle scelte della Germania, pesano la sensibilit­à di Angela Merkel, la ragazza dell’Est, verso l’Europa orientale e l’imperativo del rigore finanziari­o alla base del modello tedesco. L’opinione pubblica tedesca non valuta i danni collateral­i, anche perché pochi hanno il coraggio di prospettar­li. Basterebbe ricordare ai tedeschi l’esempio dell’ex cancellier­e Kohl, che all’indomani della caduta del Muro di Berlino introdusse la parità del marco occidental­e con il marco dei tedeschi dell’Est. Un cambio «folle», ma Kohl seppe guardare all’Europa e al futuro delle prossime generazion­i. Nasceva la «Germania europea», rassicuran­te prospettiv­a rispetto all’«Europa tedesca» di oggi, in cui non c’è posto per la Grecia alla bancarotta.

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