C’È UN’ALTRA STORIA DA RACCONTARE
La crisi greca Sarebbe il caso di collocare il problema ellenico, ventre molle dell’Europa, nello scenario instabile del Mediterraneo, dell’immigrazione incontrollata, della lotta al terrorismo integralista
Certo, i debiti si pagano. Certo, i greci ballano sull’orlo del precipizio. Certo, è disperante che le sorti di un Paese siano appese all’estremismo ideologico di un dandy marxista come Varoufakis. Detto questo, con il fiato sospeso su ciò che accadrà nelle prossime ore, occorre prendere in considerazione anche i possibili danni collaterali della Grexit, sul piano politico e strategico, non solo monetario. Stiamo forse per dovere raccontare un’altra storia, che colloca il problema greco, il ventre molle dell’Europa, nello scenario instabile del Mediterraneo, dell’immigrazione incontrollata, della lotta al terrorismo, di una crisi economica continentale non ancora superata. Fenomeni spesso collegabili, che necessitano di risposte unitarie, coraggiose e forse persino militari, ma come darle se prevalgono le divisioni fra i leader europei, le esigenze delle opinioni pubbliche interne, le regole contabili, il vuoto di visioni lungimiranti, gli interessi nazionali e le loro varianti elettorali?
Occorre ricordare che la Grecia, oltre che dell’Europa, fa parte della Nato: quali potrebbero essere le scelte future di un Paese allo sbando, che chiederà aiuto dovunque possa ottenerlo? In cambio di quali contropartite? Fino a che punto potremo contare sul secondo membro della Nato sul fronte orientale — la Turchia di Erdogan — che gioca una partita ambigua e pericolosa nel rapporto con l’islamismo? È sensato chiudere le porte alla Grecia dopo averle chiuse alla Turchia?
Ci si preoccupa dell’effetto contagio sui mercati, ma è più preoccupante l’effetto contagio che l’uscita della Grecia potrebbe avere su movimenti populisti, ovunque in crescita sull’onda del rifiuto di questa Europa e delle sue élite.
Se questi sono i rischi, oltre al fatto ovvio che non conviene mai, nemmeno nella vita di tutti i giorni, fare morire il debitore, alcune domande andrebbero poste alla Germania, da cui dipendono in larga misura il destino della Grecia e la politica europea.
Non si tratta di amplificare il comprensibile risentimento dei greci o rispolverare la questione delle colpe e dei debiti di guerra (peraltro non pagati) ma di non ripetere errori di valutazione che hanno condizionato la storia d’Europa degli ultimi vent’anni.
All’indomani della riunificazione della Germania, l’allora ministro degli esteri Hans Dietrich Genscher, forzò in modo unilaterale il riconoscimento dell’indipendenza della Croazia, una decisione che ebbe un effetto domino sui Balcani con conseguenze ben note: la guerra, i massacri, fino all’indipendenza del Kosovo, presupposto e alibi anni dopo del referendum indipendentista in Crimea.
Nel decennio scorso, il presidente francese Nicolas Sarkozy (peraltro, principale responsabile del disastro in Libia) lanciò il progetto di un’Unione del Mediterraneo, ponte con l’Europa per contribuire allo sviluppo economico e democratico del Maghreb. Un’idea lungimirante, di cui oggi si comprende la dimensione e la necessità, ma di fatto naufragata per indifferenza dell’Europa e diffidenza di Angela Merkel.
Di fronte alla crisi greca, sono i no tedeschi (della Merkel, della Bundesbank, del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble) i principali ostacoli al salvataggio in nome del rigore finanziario.
Se si guarda invece alla crisi in Crimea e in Ucraina, è la Germania la più determinata nell’imporre sanzioni alla Russia. Alle conseguenze delle sanzioni sulle imprese europee si somma la difficoltà di costruire un’indispensabile collaborazione con Mosca nella lotta al terrorismo.
Nelle scelte della Germania, pesano la sensibilità di Angela Merkel, la ragazza dell’Est, verso l’Europa orientale e l’imperativo del rigore finanziario alla base del modello tedesco. L’opinione pubblica tedesca non valuta i danni collaterali, anche perché pochi hanno il coraggio di prospettarli. Basterebbe ricordare ai tedeschi l’esempio dell’ex cancelliere Kohl, che all’indomani della caduta del Muro di Berlino introdusse la parità del marco occidentale con il marco dei tedeschi dell’Est. Un cambio «folle», ma Kohl seppe guardare all’Europa e al futuro delle prossime generazioni. Nasceva la «Germania europea», rassicurante prospettiva rispetto all’«Europa tedesca» di oggi, in cui non c’è posto per la Grecia alla bancarotta.