LA TUTELA DIMEZZATA SE LA LITE È TEMERARIA
Niente più carcere, dunque, per chi diffama o ingiuria, ma multe piuttosto salate, applicando il principio che chi sbaglia paga e se sbaglia consapevolmente paga di più.
In una società nella quale oramai quasi tutto si misura in denaro, è comprensibile che il Parlamento, dovendo eliminare la pena detentiva, abbia incrementato quella pecuniaria.
Ed è anche ragionevole immaginare che chi subisce un’offesa sia piuttosto indifferente alla sanzione penale che viene inflitta al responsabile, essendo piuttosto e giustamente sensibile al risarcimento che, se non cancella il patimento, certo lo attenua, in misura proporzionale al danno liquidato.
Danno il cui ammontare è un vero rebus, in difetto di tabelle e punti e con l’introduzione di criteri assai aleatori: il giudice deve tener conto, infatti, della diffusione e della rilevanza del mezzo di informazione, oltre che della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica.
E sempre in termini monetari è misurata anche la violazione dell’obbligo di pubblicarla, che comporta per il direttore una non simbolica sanzione amministrativa da 8 a 16 mila euro.
Bene, a questo punto verrebbe spontaneo immaginare che, a far da contraltare a cotanta legittima severità, si siano previste sanzioni economiche altrettanto incisive, anche a carico di chi fa querele o cause civili temerarie ed a favore di chi le subisce e, invece, no.
Il ragionamento può sembrare complesso, ma non lo è: il giornalista, di solito, viene assolto perché il fatto non costituisce reato, avendo agito nell’ambito del diritto di cronaca o di critica.
Ecco, il danno da querela temeraria è risarcibile solo a favore di chi venga assolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste.
Sarebbe bastata una modifica ma, pur di escludere i giornalisti dal novero dei risarcibili, si è previsto, è vero, il pagamento di una ulteriore somma, ma alla cassa delle ammende, cioè allo Stato.
La maggioranza si è persino divisa sull’emendamento, poi approvato, che ha implementato l’efficacia della norma sul danno da lite temeraria, che potrà ora essere liquidato con maggiore facilità e, soprattutto, tenendo presente, in particolare, l’ammontare del risarcimento preteso da chi ha agito, senza averne motivo.
Un rischio davvero elevato per chi spara richieste milionarie: l’incomprensibile astensione di alcuni non lo ha bloccato alla Camera ma, se si ripetesse al Senato, potrebbe compromettere l’ulteriore iter dell’intera legge, un problema per chi la vuole a tutti i costi ed un sollievo per tutti gli altri.
La scarsa deterrenza delle conseguenze patrimoniali per chi agisce a puro scopo intimidatorio può sembrare una questione secondaria, tutta interna ad una categoria che pretende privilegi e non vuol pagare per i suoi errori, eppure non è sfuggito al relatore Walter Verini che, se un giornalista viene intimidito da una lite temeraria, si colpisce anche la libertà di informazione.
E a chi si è trovato l’ufficiale giudiziario sulla porta di casa, a rispondere di debiti non solo suoi, abbandonato da un editore fallito o che un editore che lo difendesse in giudizio e pagasse per lui non lo ha mai avuto, quella libertà deve sembrare assai lontana, quasi una chimera. Si è tentato, onore al merito, di ovviare con un emendamento che inserisce, fra i crediti privilegiati sui beni mobili dell’editore, quello che vantano giornalisti e direttori che abbiano pagato il danno da diffamazione al suo posto. Se l’editore è fallito o è insolvente, però, non ci saranno beni mobili da aggredire e se, al contrario, vi fosse spazio per farlo, come potrà tornare in redazione il fedifrago che avrà osato pretendere, magari rivolgendosi al giudice, il saldo del dovuto?