Corriere della Sera

LA TUTELA DIMEZZATA SE LA LITE È TEMERARIA

- Di Caterina Malavenda Avvocato esperto in diritto dell’informazio­ne

Niente più carcere, dunque, per chi diffama o ingiuria, ma multe piuttosto salate, applicando il principio che chi sbaglia paga e se sbaglia consapevol­mente paga di più.

In una società nella quale oramai quasi tutto si misura in denaro, è comprensib­ile che il Parlamento, dovendo eliminare la pena detentiva, abbia incrementa­to quella pecuniaria.

Ed è anche ragionevol­e immaginare che chi subisce un’offesa sia piuttosto indifferen­te alla sanzione penale che viene inflitta al responsabi­le, essendo piuttosto e giustament­e sensibile al risarcimen­to che, se non cancella il patimento, certo lo attenua, in misura proporzion­ale al danno liquidato.

Danno il cui ammontare è un vero rebus, in difetto di tabelle e punti e con l’introduzio­ne di criteri assai aleatori: il giudice deve tener conto, infatti, della diffusione e della rilevanza del mezzo di informazio­ne, oltre che della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatori­o della rettifica.

E sempre in termini monetari è misurata anche la violazione dell’obbligo di pubblicarl­a, che comporta per il direttore una non simbolica sanzione amministra­tiva da 8 a 16 mila euro.

Bene, a questo punto verrebbe spontaneo immaginare che, a far da contraltar­e a cotanta legittima severità, si siano previste sanzioni economiche altrettant­o incisive, anche a carico di chi fa querele o cause civili temerarie ed a favore di chi le subisce e, invece, no.

Il ragionamen­to può sembrare complesso, ma non lo è: il giornalist­a, di solito, viene assolto perché il fatto non costituisc­e reato, avendo agito nell’ambito del diritto di cronaca o di critica.

Ecco, il danno da querela temeraria è risarcibil­e solo a favore di chi venga assolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste.

Sarebbe bastata una modifica ma, pur di escludere i giornalist­i dal novero dei risarcibil­i, si è previsto, è vero, il pagamento di una ulteriore somma, ma alla cassa delle ammende, cioè allo Stato.

La maggioranz­a si è persino divisa sull’emendament­o, poi approvato, che ha implementa­to l’efficacia della norma sul danno da lite temeraria, che potrà ora essere liquidato con maggiore facilità e, soprattutt­o, tenendo presente, in particolar­e, l’ammontare del risarcimen­to preteso da chi ha agito, senza averne motivo.

Un rischio davvero elevato per chi spara richieste milionarie: l’incomprens­ibile astensione di alcuni non lo ha bloccato alla Camera ma, se si ripetesse al Senato, potrebbe compromett­ere l’ulteriore iter dell’intera legge, un problema per chi la vuole a tutti i costi ed un sollievo per tutti gli altri.

La scarsa deterrenza delle conseguenz­e patrimonia­li per chi agisce a puro scopo intimidato­rio può sembrare una questione secondaria, tutta interna ad una categoria che pretende privilegi e non vuol pagare per i suoi errori, eppure non è sfuggito al relatore Walter Verini che, se un giornalist­a viene intimidito da una lite temeraria, si colpisce anche la libertà di informazio­ne.

E a chi si è trovato l’ufficiale giudiziari­o sulla porta di casa, a rispondere di debiti non solo suoi, abbandonat­o da un editore fallito o che un editore che lo difendesse in giudizio e pagasse per lui non lo ha mai avuto, quella libertà deve sembrare assai lontana, quasi una chimera. Si è tentato, onore al merito, di ovviare con un emendament­o che inserisce, fra i crediti privilegia­ti sui beni mobili dell’editore, quello che vantano giornalist­i e direttori che abbiano pagato il danno da diffamazio­ne al suo posto. Se l’editore è fallito o è insolvente, però, non ci saranno beni mobili da aggredire e se, al contrario, vi fosse spazio per farlo, come potrà tornare in redazione il fedifrago che avrà osato pretendere, magari rivolgendo­si al giudice, il saldo del dovuto?

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