Il gran virtuoso della malinconia
Dal Seicento francese tornano le «Sentenze e massime morali» curate da Carlo Carena per Einaudi. Le malattie dell’anima sono esplorate palmo a palmo, l’indagine affronta l’amor proprio e finalmente approda alla saggezza La Rochefoucauld era pessimista ma
Françis de La Rochefoucauld, nato a Parigi nel 1613 e morto a Parigi nel 1680, era un malinconico. Nel suo bellissimo autoritratto, disse così di se stesso: «Mi sono studiato abbastanza per conoscermi bene. Per parlare del mio temperamento, sono malinconico, e lo sono al punto che in tre o quattro anni mi si è visto ridere sì e no tre o quattro volte…La malinconia mi pervade in tal modo l’immaginazione e mi occupa così tanto lo spirito, che per il più del tempo o fantastico senza aprire bocca o non bado quasi per nulla a ciò che dico. Sono molto chiuso con gli sconosciuti, né estremamente aperto con la maggior parte di coloro che conosco». Posseduto da questa malinconia, agì nella prima parte della sua vita: fu deluso e sconfitto, amaramente e tragicamente; e poi si ritirò nei salotti di Parigi, insieme ai suoi amici, tra i quali madame de la Fayette, con cui si abbandonava al conforto e alla gioia della conversazione. Conversare era per lui, in primo luogo, saper ascoltare: un’estrema facoltà di attenzione.
Alla conversazione con gli amici, e a quella conversazione più intima e sconosciuta che teneva con sé stesso, la Rochefoucauld dovette la sua opera più famosa, un libro che getta la sua disperata e ironica ombra su tutta la letteratura francese e su molta letteratura europea: le Sentenze e massime morali, di cui Carlo Carena ha appena procurato un’eccellente edizione — traduzione (Einaudi), dove le frasi italiane fronteggiano senza essere sconfitte le mirabili sentenze francesi. Nos vertus ne sont le plus souvent que des vices déguisés. Le nostre virtù non sono più delle volte che vizi travestiti, dichiara l’epigrafe a partire dalla quarta edizione, annunciando uno dei temi ricorrenti del libro.
La Rochefoucauld crede nella Provvidenza: «Per quanta instabilità e varietà appaia nel mondo, vi si mostra tuttavia una certa concatenazione segreta e un ordine regolato da sempre dalla Provvidenza, che fa sì che ogni cosa procede al suo posto e segue il corso del suo destino». All’interno del mondo della Provvidenza, egli sceglie la figura del peccatore, che considera l’uomo reale, l’unico che egli conosca visibilmente, sebbene mostri una silenziosa venerazione per l’uomo che vive nella grazia e obbedisce alla grazia. Ricerca le leggi del regno del peccatore: l’immenso, reale e fantastico, quotidiano e grandioso, territorio dell’amor proprio a cui dedica la parte più evidente del suo libro, perché «vi rimangono ancora molte terre ignote». Il regno dell’amor proprio ha anche un altro nome: l’interesse che, come l’amor proprio, ha infinite manifestazioni spesso capovolte. «L’interesse parla ogni sorta di lingua e interpreta ogni sorta di personaggi, anche quello del disinteressato».
L’amor proprio suscita in la Rochefoucauld una meravigliosa eloquenza, che si nutre alla propria fonte, senza esaurirsi mai. «L’amor proprio è l’amore di se stesso e di ogni cosa per sé: esso rende gli uomini idolatri di se stessi. Nulla è più impetuoso come i suoi desideri, nulla è nascosto come i suoi propositi, nulla astuto come i suoi comportamenti… Non si può sondare la profondità né fendere le tenebre dei suoi abissi. Là è al coperto degli occhi più penetranti: vi compie mille impercettibili giri e rigiri». L’amor proprio ha, in primo luogo, una vita inconscia. «Vi concepisce, vi nutre e vi alleva inconsapevolmente un grande numero di affetti e di odi; ne forma di così mostruosi, che quando li ha messi in luce, li disconosce od esita ad approvarli». Ma ha anche una lussureggiante vita conscia, posseduta da una prodigiosa forza immaginativa. Alla fine, La Rochefoucauld è spaventato dalla sua stessa creatura: perché l’amor proprio rende gli uomini più crudeli di quanto li renda la stessa «ferocia naturale».
Nel regno dell’amor proprio, la Rochefoucauld scopre una forza, che ha qualcosa di grandiosamente meccanico: quella del rovesciamento, di cui egli segue i movimenti e gli spostamenti, come Freud, secoli dopo, seguirà gi spostamenti della sua meccanica psicologica. «Le passioni ne generano spesso di contrarie. L’avarizia produce talvolta la prodigalità, e la prodigalità l’avarizia». «Gli uomini non solo sono soggetti a perdere i ricordi dei benefici e delle offese: essi odiano persino coloro che li hanno resi debitori». «Questa clemenza di cui si fa una virtù è praticata talora per vanità, qualche volta per pigrizia, spesso per timore, e quasi sempre per tutt’e tre le cose insieme». Così il mondo reale, il mondo nel quale egli vive e conversa, e noi continuiamo a vivere e conversare, è quello della maschera, che diventa una forza interna, perché siamo così abituati a mascherarci agli altri che alla fine ci mascheriamo anche a noi stessi. Tutti esibiscono una sembianza, per apparire all’esterno quel che vogliono essere creduti, così che il mondo non è composto che di infinite sembianze.
Nelle sue esplorazioni la Rochefoucauld si sofferma su ciò che è più visibile ed evidente: il mondo del corpo, che ha una corrispondenza continua e incessante con quello dell’anima. Basta fissare il fisico e si risale al cuore. Ci sono malattie dell’anima e malattie del corpo: ferite del corpo e difetti dell’anima; la cicatrice si vede sempre. Tutte le passioni non sono altro che diversi gradi di calore e di freddezza del corpo. Le malattie traggono origine dalle passioni e dalle sofferenze dell’animo. Questo causa, molto spesso, una conseguenza: noi non ci conosciamo: perché ignoriamo gli umori del corpo, che muovono e volgono impercettibilmente le nostre volontà: essi esercitano un dominio occulto dentro di noi; e hanno una parte considerevole in tutte le nostre azioni, senza che lo sappiamo. Dovunque la Rochefoucauld volge il suo sguardo lucidissimo, la luce della realtà si spegne rapidamente davanti a lui, che scorge soltanto tenebre.
L’esplorazione di La Rochefoucauld continua ad estendersi: sempre più lontano, sempre più lontano, nel ristretto e immenso regno dell’amor proprio. Più vede, più la difficoltà di vedere sembra accrescersi, perché nel cuore di ogni persona ci sono infinite contraddizioni: molte più di quante ne può inventare l’immaginazione; talvolta si è tanto diversi da se stessi quanto dagli altri. Un individuo può avere molte verità: un altro soltanto una: quello che ha molte verità è più pregevole; e nella vita deve osservare lo stesso equilibro che osservano, nella musica, le varie voci e i vari strumenti.
Col procedere dello sguardo, il pessimismo delle Sentenze aumenta. Ecco l’invidia: questa passione timida e ignobile, che non osa mai confessare se stessa; un vero delirio, che dura sempre più a lungo della felicità di coloro che spia. Ecco la vanità tremenda e spregevole: mentre le passioni più violente ci lasciano qualche volta una tregua, essa ci agita sempre, unica, ossessiva, attraverso tutte le forme che assume. Ecco l’inganno, che viene disprezzato come segno di un intelletto piccolo o mediocre. E la malvagità, che domina l’uomo e non gli lascia via di fuga: «Solitamente si fa del bene per poter fare impunemente del male». «Ci sono dei cattivi che sarebbero meno pericolosi se non avessero affetti buoni». C’è infine la grande malvagità, che spesso è propria degli uomini grandi; e per essi la Rochefoucauld nutre una profonda ammirazione.
C’è un’oasi, per la quale la Rochefoucauld nutre una specie di tenerezza: il mondo volatile e libertino del capriccio, «ancora più bizzarro di quello della fortuna». È il mare enorme dei temperamenti leggeri e frivoli: temperamenti inco-
Personalità Lo scrittore fu maestro in ogni stile: nel fulgore rapido della sentenza ma anche nella prosa costruita, come nelle «Riflessioni diverse»
Bontà «Solitamente si fa del bene per poter fare impunemente del male. Invecchiando si diventa più folli e più saggi» Eros «L’amore ha creato più male che tutto il resto insieme; ma poiché procura anche i più grandi beni della vita, si deve tacere; e va temuto»
stanti, per incostanza, leggerezza, amore, curiosità, tedio e disgusto; essi stanno a metà, senza avere difetti né qualità solide. Qui trionfa l’esprit, la galanteria dell’intelletto. Per loro le Sentenze provano un divertito disprezzo. La Rochefoucauld gioca deliziosamente, rinunciando ai toni alti e superbi. Ecco le immagini spiritose, spesso di prodigiosa eleganza. «I vecchi amano dare precetti, per consolarsi di non essere più in grado di dare cattivi esempi».
Avremmo torto a vedere nelle Sentenze soltanto il sistema dell’amor proprio. La Rochefoucauld possiede un’immensa fantasia; e a un certo punto, la sua creazione gli sembra piccola, ed egli si eleva sempre più in alto. «Coloro che si applicano troppo alle piccole cose, di solito diventano incapaci delle grandi», dice, certo pensando al suo libro. Se ci sono i falsi, gli uomini con la maschera, ci sono anche — e non importa che siano pochi — i sinceri. Il loro è il regno della grandezza dello spirito, chiamato giudizio: «Il giudizio non è che la grandezza del lume dell’intelletto: questo lume penetra al fondo delle cose, vi rileva tutto ciò che bisogna rilevare e percepisce quelle che sembrano impercettibili».
Con quale rilievo ed esaltazione, egli sottolinea la grandezza del lume dell’intelletto: lo stesso lume che illumina la totalità delle Sentenze. Nelle Riflessioni diverse insiste. Le conoscenze del grande intelletto sono sterminate, agisce sempre nello stesso modo e con la stessa alacrità, distingue gli oggetti lontani come fossero presenti, capisce, immagina le più grandi cose, vede e conosce le più piccole: i suoi pensieri sono elevati, vasti, giusti e comprensibili. Nulla sfugge alla sua perspicacia. Egli dice tutto ciò che occorre, e non dice se non ciò che occorre. Fa intendere in poche parole molte cose, mentre gli spiriti piccini hanno il dono di parlare molto senza dire nulla.
La grandezza del lume dell’intelletto ha molti nomi, che non ne esauriscono i limiti. Il coraggio: «L’intrepidezza è una forza straordinaria dell’animo, che lo innalza al di sopra dei turbamenti, degli scompigli e delle emozioni; ed è grazie a questa forza che gli eroi si mantengono in uno stato tranquillo». La fierezza: «L’orgoglio, come stanco dei suoi artifici e delle sue diverse metamorfosi, dopo aver interpretato lui solo i personaggi della commedia umana, si mostra con un volto naturale, ci si scopre con la sua fierezza, per cui, propriamente, la fierezza è la manifestazione e la liberazione dell’orgoglio». Sopratutto i disegni e i propositi: le grandi anime non sono quelle che hanno meno passione e più virtù delle anime comuni, ma semplicemente quelle che hanno più grandi disegni. Nel sistema dell’amor proprio, il coraggio, la fierezza, e i disegni e i propositi venivano ricondotti, come maschere, a vizi che occultavano. Qui, invece, queste facoltà dell’animo valgono per se stesse, riportate al loro modello eroico.
L’amore occupa il colmo dell’animo. È molto difficile definirlo. Si può dire — così la Rochefoucauld si avvicina al suo tema — che nell’animo esso è una bramosia di dominio: negli spiriti un’affinità; e nel corpo un desiderio nascosto e sottile di possedere ciò che si ama dopo tanti misteri. Poi le Sentenze compiono un passo terribile: se giudichiamo l’amore dalla maggior parte dei suoi affetti, assomiglia più all’odio che all’amicizia; «più si ama un’amante, e più si è prossimi ad odiarla». Infine la costanza, che dovrebbe sostenere l’amore, si dissolve in incostanza. La costanza in amore è un’incostanza perenne, per cui il nostro cuore si attacca incessantemente a tutte le qualità delle persone amate, dando la preferenza ora a questo ora all’altro; sicché questa costanza è un’incostanza ristretta e racchiusa in un medesimo soggetto.
Il tentativo di avvicinarsi all’amore non ha fine. Ora è una febbre; e non abbiamo alcun potere né sulla febbre né sull’amore, sia per la loro violenza, sia per la loro durata. Ora è come il mare: l’amore che si estingue e muore è simile a quelle lunghe bonacce, a quelle calme e tediose che si incontrano all’equatore: stanchi di un lungo viaggio aneliamo a concludere; scorgiamo la terra, ma manca il vento per raggiungerla: le malattie e i languori impediscono di agire: l’acqua e i viveri mancano: siamo stanchi di tutto ciò che scorgiamo; stiamo sempre sugli stessi pensieri e siamo sempre tediati. Ma attraverso tutte le metamorfosi e le trasformazioni, l’amore ci dimostra ogni giorno di esistere; e di essere una grande passione, che occupa il centro della nostra vita e del nostro cuore, avvolgendo come un alone il lume dell’intelletto. «L’amore, da solo, ha creato più male che tutto il resto insieme; ma poiché procura anche i più grandi beni della vita, anziché maledirlo, si deve tacere; e lo si deve temere e rispettare sempre». L’amore si chiude così, nel silenzio.
Intorno al culmine del cuore, sta una facoltà misteriosa, che non possiamo chiamare che follia. Essa ci accompagna in ogni tempo della vita. Infine fa un balzo: nasce dalla più sottile saggezza, e costituisce l’essenza stessa della saggezza. «Invecchiando si diventa più folli e più saggi».
La Rochefoucauld è maestro in tutti gli stili: non solo nel fulgore rapido e istantaneo della sentenza, ma nella prosa diffusa e costruita che eccelle nelle Riflessioni diverse, le quali discorrono del vero, della società, della conversazione, della confidenza, della gelosia ma anche di un personaggio straordinario e impossibile come Alessandro Magno, «modello di elevazione d’animo e di grandezza d’ardimento». Dovunque, non solo nelle Sentenze, la prosa tende alla concentrazione e alla sintesi. La Rochefoucauld si abbandona al suo mirabile istinto analitico: distingue e ancora distingue e sottodistingue; poi costruisce massime abbaglianti e misteriose, che talora comprendono la ricchezza nascosta di un racconto, colpiscono la nostra anima e ci inducono a fantasticare.