Il terribile segreto dei fidanzatini assassinati a Policoro
Il romanzo-verità «Aspettando giustizia» di Angelo Jannone (edizioni Secop)
Dal 23 marzo 1988 a oggi sono passati poco più di ventisette anni. Tanti. Troppi. Ma anche un tempo, purtroppo, perfettamente «nella media», almeno per tutti quei delitti italiani ancora avvolti dal mistero e candidati all’oblio. Quel giorno, Luca Orioli e Marirosa Andreotta, «i fidanzatini di Policoro», vent’anni lui e ventuno lei, vennero trovati cadaveri nel bagno della casa della ragazza, a Policoro, Basilicata, sulla costa jonica.
Un incidente, dissero subito medici legali, periti, magistrati, avvocati, polizia, preti, politici e anche la famiglia della ragazza. Una disgrazia, dissero all’unisono gli stessi soggetti, causata da elettrocuzione, o da folgorazione, o da intossicazione di monossido di carbonio, o insomma da quel che vi pare, purché fosse una qualunque altra causa che non facesse pensare al duplice omicidio.
I genitori di Luca Orioli, Giuseppe e Olimpia, non credono a questa versione e il papà per cinque anni, tutti i giorni, va nella stazione dei carabinieri di Policoro, si siede e aspetta. Finché un giorno arriva il nuovo capitano, Salvino Paternò, e gli chiede chi è, cosa ci fa lì, cosa vuole e perché tutti i giorni aspetta immobile sulla stessa sedia in sala d’attesa.
Il romanzo-verità Aspettando giustizia, di Angelo Jannone (Secop, pp.208, 13, vincitore del premio Rosario Livatino 2015) comindel cia da qui, da un’attesa lunga, infinita, assurda, per una giustizia che non è arrivata mai e chissà se mai arriverà, tra depistaggi acclarati, false testimonianze e false perizie, clamorose manomissioni della scena del delitto e tutto quanto potesse servire a nascondere «un segreto terribile», che Marirosa svela a Luca e che costa la vita a entrambi. Ma la giustizia in questo caso non fa «il suo corso», non ne vuole sapere, non parte e non arriva, si fa attendere, proprio come Godot, mentre il circo della vita propone sempre gli stessi numeri, e anche se acrobati e pagliacci cambiano, l’importante è che recitino sempre la stessa parte.
Si riesumano i cadaveri, una nuova perizia afferma con forza che si tratta di evidente omicidio, caso si discute anche in Parlamento, il ministro della Giustizia, Piero Fassino, nel 2000 parla di «insufficienza degli accertamenti espletati», e tuttavia non accade nulla. Il papà di Luca intanto muore e ad aspettare giustizia resta sua madre, Olimpia, che nel libro di Jannone compare tra i molti personaggi veri, accanto a quelli ai quali l’autore ha preferito dare nomi «di fantasia». Jannone, un ex carabiniere (colonnello dei Ros, il primo a infiltrarsi nella ‘ndrangheta) non è alla sua prima prova. Si è fatto già apprezzare in Eroi silenziosi per il suo modo di scrivere «pulito» e per la sua capacità di imbastire dialoghi credibili tra i personaggi, i cui ritratti rivelano l’occhio esperto dell’investigatore.
Questa volta ha fatto anche di meglio. Non solo perché si è misurato con un protagonista che è stato carabiniere come lui senza scadere nella retorica «di corpo» — il capitano Paternò oggi è in congedo e per questa indagine venne trasferito con l’intero nucleo operativo — ma anche perché è riuscito a raccontare una storia nera di (in)giustizia evitando l’incenso, il martirologio e tutti quei luoghi comuni da antimafia da salotto.
Controstoria I due ragazzi furono trovati morti il 23 marzo 1988. Varie ipotesi, ma si escluse l’omicidio