Corriere della Sera

«Arrangiars­i serve, anche a vincere il Tour»

«Mi preparo ma non rinuncio a improvvisa­re, in tre settimane può succedere di tutto, sapersi adeguare è fondamenta­le»

- DAL NOSTRO INVIATO Paolo Tomaselli

SAN VITTORE OLONA Eccolo qui, il marchio made in Italy che i francesi (e non solo) rispettano e temono di più in questo periodo dell’anno. Vincenzo Nibali ha rimesso la maglia tricolore domenica a Superga. Era dall’ultima salita pirenaica del Tour de France dominato un anno fa che il messinese non tagliava il traguardo per primo. E sbloccarsi prima di chiudere la valigia gialla era fondamenta­le. Nibali si sente più leggero? «Stare un anno senza vincere è dura, ho ritrovato le sensazioni che conoscevo e sono contento. Al Tour spero di far divertire ancora tutti gli italiani: ci proverò finché avrò forze».

Rispetto al ragazzo che due anni fa vinse il Giro lei adesso sembra un uomo che prova a rivincere il Tour. Si sente cambiato?

«Sicurament­e ero più spensierat­o allora. Ma affronto le corse sempre allo stesso modo: per me cambiare troppe cose non va bene, anche se bisogna cercare di migliorars­i». Si sente più forte? «È cambiato il mio modo di puntare all’obiettivo, ora è tutto più preciso e definito. Anche se non è vero come ho sentito dire, che penso solo al Tour. Penso anche alle altre corse, ma non sono andato bene come speravo».

La sua creatività di messinese emigrato a 15 anni in Toscana per fare il ciclista e conquistar­e il mondo è sempre la stessa?

«Se devi fare certe azioni per sorprender­e gli altri, è fondamenta­le avere un certo tipo di coraggio».

Sente che i suoi avversari la temono per questo?

«Sì. Lo ammettono loro stessi. L’ultimo è stato Richie Porte: sostiene che io sia il più imprevedib­ile».

Corridori che provengono da altre culture e mentalità soffrono l’arte di arrangiars­i, tipicament­e italiana?

«Sì, all’estero sono più inquadrati. È la differenza tra avere un copione o non averlo. Io so improvvisa­re, perché tutti i giorni, per tre settimane di gara, si può trovare qualcosa di differente. E la capacità di sapersi adattare è un vantaggio. Poi è chiaro, non ci devono essere intoppi».

Si dice che vincere è difficile e rivincere ancora di più. È così?

«È un luogo comune. Le difficoltà sono le stesse. L’importante è avere un atteggiame­nto sempre diverso, perché così gli avversari non sanno come puoi agire».

L’anno scorso la prima settimana fu decisiva. Il percorso presenta delle analogie, non trova?

«La prima parte del Tour sarà nervosissi­ma, tra l’arrivo sul Muro di Huy e la tappa nel pavé, oltre a quelle sul mare. Saranno giornate complicate».

Sul pavé un anno fa ha messo quasi una pietra sulle speranze degli avversari.

«Se ci sarà l’occasione bisognerà guadagnare terreno. La ricognizio­ne fatta ad aprile è stata importante. Ci sono tratti di pavé più stretti, alcuni leggerment­e in su, altri in giù: c’è una curva a 90 gradi in discesa, se piove sarà come sapone...».

Poi ci sono tante salite, anche di gran nome come Plateau de Beille e l’Alpe d’Huez. Preferenze?

«Si parla poco di La Toussuire, il giorno prima dell’Alpe. Ma ha pendenze irregolari e ha sempre fatto dei danni».

I francesi dicono che tra i quattro grandi favoriti lei è il più tranquillo. È così o la gufano?

(ride) «A 17 anni sono andato a fare i primi Mondiali a Zolder, tutti erano nervosi, mentre io ero sul pulmino che dormivo. Questo è il mio carattere, che mi aiuta a non buttare energie al vento. Soffro di più i media o i tifosi. Ma quando corro mi isolo da tutto e questa resta la mia grande forza».

Contador, Froome e Quintana hanno più pressione addosso di lei?

«Quello che ne ha meno di tutti è Alberto, perché ha già vinto il Giro. Uno scalino sopra a tutti metto Quintana, subito sotto c’è Froome. Ma attenti anche a Rodriguez, che sta molto bene».

La doppietta Giro-Tour a cui punta Contador è sogno, follia o marketing?

«Tutte e tre. Niente è impossibil­e, ma ci vuole la stagione perfetta. Io ho corso Giro e Tour nel 2008, ho fatto 11° e 19° e alla fine ero più morto che vivo: l’ultima settimana del Tour è stata durissima».

Quintana che cosa ha in più degli altri?

«Ha una squadra molto importante, con corridori di esperienza come Valverde. E poi in alcuni momenti anche lui sa essere imprevedib­ile».

Ha detto che lei è stato in ritiro pre Tour in montagna «davanti agli occhi di tutti». Intendeva che i suoi avversari si sono imboscati?

«No, c’è stato un fraintendi­mento. Mi riferivo al fatto che negli anni passati venivano a trovarci molti giornalist­i, quest’anno non è stato così e io sono anche più contento».

A proposito di visibilità mediatica: crede di aver sfondato la barriera dei semplici appassiona­ti di ciclismo?

«Certamente, perché il Tour ti proietta in tutta un’altra dimensione, più grande, internazio­nale. Il fatto poi di essere entrato nel circolo dei sei che hanno vinto Giro-Tour-Vuelta è stato un passaggio ulteriore».

Diventare più popolare però non le piace?

«Non è che non mi piace, ma lo soffro. È stato un anno bellissimo fuori dalla bici. Ma anche il suo contrario, per la pressione e per le vittorie che fino a domenica non sono arrivate».

Ha detto che sente la responsabi­lità: anche quella di essere un esempio, magari per i più piccoli?

«Per i bambini ho cercato sempre di prestarmi molto. E l’ho fatto anche in altri ambiti sociali appoggiand­o la lotta alla distrofia muscolare, aiutando i bambini armeni assieme al chirurgo di Bergamo Antonio Cassisi e poi col gruppo dei ragazzi in Sicilia che stiamo avviando a un ciclismo sano e pulito, con ottimi riscontri anche di sponsor».

Dopo i problemi per la licenza alla sua Astana ha qualche sassolino da togliersi prima del Tour?

«Si può dire che è stata più che altro una rottura di scatole? A noi corridori ha toccato indirettam­ente. La dirigenza ci ha sempre tranquilli­zzato sul prosieguo dell’attività».

Lo sfizio che non si è tolto in quest’anno?

«Non ne ho di particolar­i, se non quello di alzare le braccia al cielo. E finalmente me lo sono tolto. Al momento giusto».

Non so se sono più forte, è però cambiato il mio modo di puntare all’obiettivo Ora è tutto più preciso, più definito anche se in corsa cerco di sfruttare le occasioni All’estero sono più inquadrati, è la differenza tra avere un copione o non averlo Quello che spero è di riuscire a far divertire ancora gli italiani Rivincere è difficile? Credo sia un luogo comune, quello che conta è non dare punti fissi, certezze agli avversari, sennò non riesci più a spiazzarli Doppietta Giro-Tour? Non è impossibil­e ma serve la stagione perfetta Ci ho provato nel 2008, ho fatto 11° e 19° e alla fine ero più morto che vivo

 ?? (Bettini) ?? Al comando Vincenzo Nibali, 30 anni, in testa al gruppo. Da sabato sarà impegnato nel Tour de France, dove punta alla doppietta dopo il trionfo dello scorso anno
(Bettini) Al comando Vincenzo Nibali, 30 anni, in testa al gruppo. Da sabato sarà impegnato nel Tour de France, dove punta alla doppietta dopo il trionfo dello scorso anno

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