Corriere della Sera

Pressioni, favori La guerra segreta della Finanza

- Di Fiorenza Sarzanini

«Non è che sto lì a fare il comandante in seconda. Io mi vado a incatenare davanti a Via XX Settembre»: così parlava il 28 gennaio 2014 il generale Michele Adinolfi. E invece un anno e mezzo dopo, esattament­e lunedì 6 luglio, è diventato comandante in seconda, vice di Saverio Capolupo. Cioè l’uomo che aveva cercato in ogni modo di ostacolare rivolgendo­si a politici e ministri — come lui stesso racconta — per impedire che rimanesse al vertice della Guardia di Finanza. È l’effetto paradossal­e di una legge che impone la nomina automatica del generale più anziano. E tanto basta per comprender­e quale sia il clima che si respira in queste ore all’interno delle Fiamme gialle.

Da Capolupo alla succession­e I contatti di Adinolfi con ministri e parlamenta­ri, dalla proroga di Capolupo alla prossima designazio­ne del suo successore

Quanto alto sia il livello di tensione che segna le decisioni di un comandante consapevol­e di potersi ormai fidare di pochissime persone. Alla scadenza del suo mandato mancano nove mesi, ma quel che potrà accadere sino ad allora nessuno è in grado di prevederlo. Perché i giochi si sono riaperti, le rivalità interne appaiono ora più che mai evidenti e il rischio forte è quello di una lacerazion­e dei rapporti tra i vertici che può avere effetti negativi sull’intero Corpo.

Svariate nomine sono state decise nelle ultime settimane, ma per comprender­e davvero che cosa stia accadendo bisogna tornare a tre mesi fa, e sviluppare la trama emersa in un’inchiesta penale che coinvolgev­a Adinolfi soltanto marginalme­nte e invece l’ha fatto tornare, suo malgrado, protagonis­ta.

La visita al Pd

È il 3 aprile quando i giornali pubblicano stralci dell’informativ­a dei carabinier­i del Noe depositata dai magistrati di Napoli dopo gli arresti dei responsabi­li della Cpl Concordia. Nel documento si evidenzia «la reazione del generale Michele Adinolfi rispetto alla proposta di proroga del generale Saverio Capolupo come comandante della Finanza, manifestan­do il proposito di non rassegnars­i così facilmente». Ma anche «il fatto che, alla vigilia della proposta di nomina in Consiglio dei ministri del comandante generale della Finanza, Adinolfi si sia recato nella sede di un partito politico (il Pd, ndr) entrando, peraltro, volutament­e dalla porta laterale e secondaria». Si fa cenno a «conversazi­oni del generale con Matteo Renzi e con Luca Lotti» — compreso l’invio di numerosi sms — ma i colloqui sono coperti da omissis e dunque non se ne conosce il dettaglio.

Ufficialme­nte Capolupo non ha alcuna reazione, Adinolfi invece smentisce pubblicame­nte di aver ordito qualsiasi manovra. Non basta. I rapporti già tesi tra i due diventano gelidi, ai vertici di via XX Settembre appare chiaro quel che fino ad allora si era soltanto sospettato. La «manovra» che qualcuno aveva ipotizzato per evitare che Capolupo ottenesse una proroga del suo mandato adesso si mostra nella sua evidenza, anche se mancano dettagli e non si sa con precisione chi abbia aiutato Adinolfi a tessere la tela dei rapporti politici. C’è soddisfazi­one per il fatto che Renzi non abbia comunque ceduto alle «pressioni», rimane il problema per il comandante di individuar­e di chi potersi davvero fidare.

Il capo di stato maggiore

La tensione si riverbera anche in altri settori. Capolupo conta su alcuni fedelissim­i, ma appare indebolito. Ci sono numerosi dossier aperti, la squadra che lo affianca talvolta non sembra assecondar­e pienamente le sue direttive. Il generale capisce che forse è arrivato il momento di effettuare alcuni avvicendam­enti. Il capo di stato maggiore Fabrizio Cuneo, viene destinato al comando aeronavale centrale — dove intanto era andato Adinolfi — e lascia il posto a Giancarlo Pezzuto che con Capolupo ha già collaborat­o a Milano ai tempi di Mani Pulite. La nomina a vicecapo dell’Aisi, una delle due agenzie dei servizi segreti, di Vincenzo Delle Femmine consente invece di far tornare a Roma in un ruolo strategico come la guida dei Reparti speciali, Luciano Carta, generale apprezzato e stimato da tutti. Altri incarichi ritenuti importanti per la tenuta e la stabilità della Guardia di finanza — ad esempio il comando Regionale del Lazio affidato a Bruno Buratti — sono stati già decisi. Ma la partita non è chiusa, come del resto dimostra quanto emerso proprio dalle carte processual­i di Napoli.

La scorsa settimana, quando il Fatto Quotidiano pubblica l’intercetta­zione di Adinolfi che parla con Renzi del governo guidato all’epoca da Enrico Letta e quelle in cui si raccomanda agli uomini del suo entourage per diventare comandante generale, si svela che cosa è accaduto un anno fa. E si conferma la solidità di rapporti e amicizie consolidat­i nel corso degli anni sul quale il generale continua a contare. Le nuove carte depositate a Napoli, questa volta senza omissis delineano i contorni della trama e i suoi protagonis­ti.

«Ci vediamo all’ispettorat­o»

Ci sono dettagli che spiegano più di mille parole. E sono in molti tra gli ufficiali di vertice ad aver notato quanto si sia impegnato per Adinolfi, il generale ora in pensione Vito Bardi, finito due volte sotto inchiesta a Napoli e poi uscito indenne dalle accuse. Ma anche la familiarit­à con il generale Giorgio Toschi, il comandante dell’ispettorat­o istituti di istruzione, fratello di Andrea Toschi, l’ex presidente della banca Arner arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla holding di partecipaz­ione finanziari­a Sopaf. Il 17 gennaio, proprio nei giorni di massima agitazione per l’imminente proroga di Capolupo, i carabinier­i intercetta­no una telefonata e annotano: «Bardi chiama Adinolfi e gli dice: “mi diceva coso che alle 6 sei lì all’ispettorat­o... poi alle 8 andiamo a prendere le signore”. Dicono che andranno ala Taverna Flavia “tanto per stare un po’ insieme”. Adinolfi dice che sarà “all’ispettorat­o alle 5.30”». Gli investigat­ori accertano che la riunione all’ispettorat­o avviene proprio nell’ufficio di Toschi e la sera i tre vanno a cena con le mogli. Nel ristorante viene piazzata una microspia, l’argomento affrontato è sempre lo stesso: la rimozione di Capolupo.

Del resto appena qualche giorno prima Adinolfi lo aveva detto chiarament­e anche a Dario Nardella, uno degli uomini più vicini a Renzi e all’ex capo di gabinetto del ministero dell’Economia Vincenzo Fortunato. E se l’era presa con l’allora ministro Fabrizio Saccomanni: «Io non ci vado più, voglio che il ministro lo ascolti, mi sono fatto sentire da ben altri ministri e lui lo sa». Ancor più esplicito era stato in un sms inviato a Luca Lotti: «Siamo tutti senza parole, un ministro che non si sa se resta, che sei mesi prima porta in consiglio una nomina di questa portata».

Adinolfi e Capolupo ora convivono sullo stesso piano al comando generale. I loro uffici sono divisi da un lungo corridoio. La partita per la succession­e appare ancora tutta da giocare.

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